Approfondimenti | 07 April 2016 | Autore: Paolo Longhi

Potenza frenante: sistemi e soluzioni fra dischi e tamburi

Il rallentamento del veicolo avviene grazie alla potenza dissipata dai freni durante l’operazione di frenatura. Si tratta di un’operazione a elevata dissipazione di energia e, a differenza di quanto si possa credere, le forze in gioco sono veramente enormi.

 

Se volessimo affrontare il discorso relativo all’impianto frenante di un veicolo nel suo complesso, dovremmo procedere prendendo in considerazione tutti quei sistemi che hanno il compito di rallentare e/o far permanere il veicolo in condizioni di quiete.
Dovremmo allora parlare di freno di soccorso, di freno di servizio, di freno di stazionamento e di freno motore. Questi però non sono gli argomenti che vogliamo affrontare in questa sede. Al contrario, l’aspetto tecnico legato a particolari componenti è quello che più ci interessa.
Ed essendo le auto di oggi equipaggiate per la quasi totalità da freni a disco, con alcuni esemplari dotati di freni a tamburo, è proprio su queste due tipologie di impianti che ci concentreremo per approfondirne le caratteristiche.
 
Il principio di Pascal è la base
Gli impianti frenanti moderni basano il proprio funzionamento su un principio classico della meccanica dei fluidi, noto come il principio di Pascal: la pressione esercitata su un liquido viene trasmessa allo stesso modo in tutte le direzioni.
Se quindi si studia un rapporto di superfici favorevoli, è possibile applicare forze grandi partendo da forze più piccole. In pratica, attraverso la modulazione delle superfici, si può ottenere una moltiplicazione della forza.
Questo significa che a fronte della forza applicata in fase di azionamento del circuito, da parte del conducente, è possibile ottenere un valore di forza frenante sufficientemente alto sul pistoncino del tamburo o del disco. Le pressioni in gioco all’interno dei circuiti idraulici dei sistemi frenanti sono molto elevate, così come il calore che si sviluppa in fase di frenata. In casi estremi, possono raggiungere anche i 200 bar. Ovviamente stiamo parlando di veicoli per impiego turistico.
Questo è anche il motivo per cui si impiegano quantità contenute di liquido idraulico, che proprio per la sua elevata incomprimibilità produce picchi di pressione molto alti.
 
I freni a tamburo
La soluzione dei freni a tamburo viene spesso considerata una soluzione obsoleta.
Questo può essere in parte vero, in quanto la semplicità del freno a disco, le migliori performance in termini assoluti e la semplicità di manutenzione hanno fatto del freno con rotore e pinza il protagonista degli impianti più moderni.
In realtà, su alcune vetture di oggi sono ancora presenti, sempre sull’asse posteriore, soluzioni con freni a tamburo. Ciò avviene per alcuni motivi abbastanza semplici. Il freno a tamburo presenta dei costi di realizzazione molto bassi, una manutenzione parecchio dilatata nel tempo e prestazioni sufficientemente buone per equipaggiare i retrotreni di auto di taglia medio-piccola.
Durante la frenata, infatti, il veicolo beccheggia, spostando la propria massa in avanti. Ciò provoca un alleggerimento dell’assale posteriore e quindi una conseguente diminuzione dell’aderenza dovuta al minor carico agente sulle ruote posteriori.
Il trasferimento di carico fa diminuire le masse da gestire nella parte posteriore del veicolo e, quindi, la potenza frenante necessaria per il retrotreno è molto più bassa di quella anteriore. Questo è anche il motivo per cui nella configurazione classica, gli impianti misti prevedono i dischi all’anteriore e i tamburi al posteriore. Tra le tante note riguardo questo genere di freni, vale la pena sottolineare come questa soluzione sia ancora oggi quasi universalmente utilizzata nel mondo dei truck.
Dal punto di vista strettamente tecnico, un freno a tamburo è formato da un apposito piatto che si occupa di accogliere le guarnizioni frenanti o ceppi o, ancora, ganasce. Il tamburo vero e proprio, generalmente realizzato in ghisa, viene montato alla fine e viene collegato direttamente al mozzo.
È possibile talvolta notare sulla superficie esterna del tamburo un’alettatura, alla quale vengono assegnati due diversi compiti: quello di costituire un elemento di rinforzo per il tamburo stesso e quello di dissipare quanto più calore possibile. I ceppi, di forma circolare, sono vincolati agli estremi, uno dei quali collegato al pistoncino e fulcrati al piatto per poter ruotare quando, in conseguenza della pressione sul pedale, il pistoncino spinge le estremità a lui collegate.
Il materiale d’attrito che fa parte delle ganasce viene fissato sulla loro superficie mediante chiodatura e incollaggio. Ovviamente, l’azione frenante è affidata all’attrito che si genera tra guarnizione e superficie interna del tamburo. Dal punto di vista energetico, abbiamo una trasformazione di energia meccanica in energia termica, cioè calore.
Questo è anche il motivo per cui molti utenti, e talvolta anche alcuni operatori del settore, non riescono mai a capire che oltre alla potenza sviluppata dal motore, sarebbe molto importante conoscere la potenza massima dissipabile dal sistema frenante. Sebbene siano due trasformazioni energetiche differenti, sia la potenza del motore, sia quella dei freni è da valutare attentamente.
Si dice molto spesso che i freni a tamburo non abbiano l’uniformità di funzionamento dei freni a disco. Questo è del tutto vero ed è insito nel cinematismo stesso del freno a tamburo. Quando la ruota gira e il freno a tamburo entra in funzione, la ganascia inizia a premere sulla superficie di lavoro del tamburo stesso. Con l’aumentare della pressione, si crea una sorta di effetto cuneo per cui la ganascia si apre sempre di più fino a provocare l’immediato bloccaggio della ruota.
Questo è anche il motivo per cui molto spesso si adottano sistemi a doppio pompante, ossia un pistone inferiore e uno superiore. La seconda ganascia, infatti, mostra un comportamento opposto rispetto alla prima, tanto che la sua azione frenante tende a diminuire con l’aumentare dell’azione frenante dell’altra.
In gergo tecnico, potreste incorrere in due definizioni oggi cadute un po’ in disuso. La ganascia che sviluppa la maggiore potenza frenante, ossia quella per cui si crea l’effetto cuneo, prende il nome di “ganascia autofrenante”, l’altra viene definita “ganascia ipofrenante”.
 
I freni a disco
Il concetto che sta alla base del funzionamento dei freni a disco è completamente differente.
Il disco, realizzato nei casi più comuni in ghisa, viene fissato al mozzo della ruota mediante apposite viti. La porzione del freno che si occupa di rallentare la rotazione del disco e quindi della vettura, è la pinza e quest’ultima, naturalmente, è vincolata alla parte fissa del gruppo, ossia al porta mozzo.
La pinza contiene i due pistoncini che premendo contro le pastiglie ne provocano un avvicinamento al disco. Come per i freni a tamburo, anche per quelli a disco sono stati pensati dei sistemi per migliorare lo scambio termico e la dissipazione del calore. Sulle auto più recenti si trovano sempre più di frequente i noti dischi autoventilanti che presentano una zona vuota provvista di microalette tra le due superfici di lavoro del disco. In alcuni casi, sono presenti anche dei fori radiali con lo stesso scopo.
Parlando di freno a disco, bisogna concentrarsi sulle tipologie di pinze, perché queste ultime fanno veramente la differenza.
Le pinze più diffuse sono quelle flottanti. Queste ultime sono dotate di un solo pistone, con una pastiglia che si muove lungo l’asse di pressione, in modo tale da adattarsi alle condizioni di consumo delle pastiglie stesse. È una soluzione molto economica, che in genere viene riservata alle auto di segmento medio-basso.
Salendo di categoria, troviamo pinze fisse anche a quattro pistoni, un sistema che migliora la prestazione frenante sotto ogni aspetto: potenza esprimibile, uniformità di pressione e consumo regolare di disco e pastiglie. La potenza frenante è legata in maniera proporzionale al diametro del disco, per cui più grande è il disco e maggiore è la potenza frenante esprimibile.
 
Conclusioni
Sebbene siano componenti fondamentali per la sicurezza di marcia, i freni, nel loro complesso, vengono spesso trascurati dall’utente medio, che prende coscienza del loro consumo talvolta quando è troppo tardi e quando a essere compromessi sono anche le superfici di lavoro di dischi e tamburi.
Gli intervalli di manutenzione estremamente allungati delle auto di oggi non aiutano certo a sensibilizzare l’utente su questo problema, ma per fortuna gli impianti di ultima generazione sono in grado di sopportare sfruttamenti anche gravosi.
 

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Tags: sistema frenante

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