Approfondimenti | 10 May 2016 | Autore: Paolo Longhi

Tecnologie: focus impianto elettrico - Come è cambiato l’impianto elettrico di un’auto

Auto moderne o piccole centrali elettriche? Una cosa è sicura: in questi ultimi anni, le auto moderne si sono trasformate anche sotto il punto di vista dell’impianto elettrico.
Analizziamo in dettaglio i principali componenti di un impianto elettrico moderno.

 

Perché gli impianti elettrici delle auto moderne sono cresciuti di complessità? La risposta la troviamo salendo a bordo di una vettura prodotta in questi ultimi anni.
Le dotazioni di bordo sono cresciute a dismisura, così come le richieste da parte della meccanica.
Per quanto riguarda gli interni, pensiamo agli impianti audio, ai sistemi di collegamento per gli smartphone, ai navigatori, ai finestrini elettrici, ai climatizzatori automatici pilotati elettronicamente, alle luci di illuminazione degli interni o a quelle del quadro strumenti e dei vari elementi della plancia.
Poi, le cose con il tempo si sono complicate maggiormente, perché sono stati introdotti i sistemi Stop&Start che hanno richiesto motorini di avviamento di nuova generazione e batterie più performanti e resistenti.
Anche i sistemi per l’illuminazione della strada sono cresciuti in termini di complessità e di richieste energetiche. Pensiamo, ad esempio, ai noti fari Xeno e biXeno.
E infine ci sono sistemi e componenti tradizionali che si sono fatti ancora più sofisticati, come i tergicristalli ad azionamento automatico, grazie ai sensore di pioggia, o le luci precedentemente menzionate e anch’esse azionabili grazie ai sensori crepuscolari.
Tutti sistemi che comunque richiedono energia per poter funzionare.
E non abbiamo parlato delle telecamere posteriori, delle frecce sugli specchietti e dei sensori di parcheggio.
Il discorso nel suo insieme è particolarmente complesso, perché in questa introduzione abbiamo già capito che a essere coinvolte sono due materie un po’ differenti, sebbene una si possa considerare la madre dell’altra. Elettrotecnica ed elettronica sono le scienze esatte che vengono interessate dal funzionamento dell’intero impianto elettrico di un veicolo. In questo piccolo spazio a nostra disposizione affronteremo, uno alla volta, i principali componenti che concorrono a formare l’impianto elettrico vero e proprio, lasciando da parte la sezione strettamente legata all’elettronica.
Concluderemo infine il discorso con un maggiore approfondimento sulle batterie.
 
L’avviamento, ovvero, il motorino di avviamento
Tralasciamo per ora il discorso relativo alle batterie, che riprenderemo a fine articolo e analizziamo il motorino di avviamento.
Quest’ultimo, assorbendo un’elevata quantità di energia dalla batteria, si occupa di mettere in rotazione il motore per fargli raggiungere un numero di giri sufficiente perché si possa innescare il suo funzionamento autonomo.
I componenti di un motorino elettrico sono: il motore elettrico, l’elettromagnete e il gruppo pignone con sistema a ruota libera, così definito perché una volta innescato il funzionamento autonomo del motore, si ritrae in posizione di riposo.
Il motorino di avviamento utilizza la dentatura del volano motore per avviare il motore stesso e il rapporto di ingranaggio normalmente utilizzato è pari a 15:1.
L’avviamento si suddivide principalmente in tre macro fasi: la prima durante la quale il pignone viene messo in azione dal motore elettrico, la seconda in cui il pignone va a impegnare il volano e la terza in cui il pignone si disimpegna dal volano.
L’assorbimento di energia da parte del motorino di avviamento è notevole e le potenze messe in gioco possono arrivare anche a 5 kW, con assorbimenti di corrente che possono andare anche oltre i 300 Ampere.
Tra gli obiettivi imprescindibili di ogni motorino di avviamento vanno annoverati i seguenti: affidabilità e dimensioni contenute in relazioni alle potenze sviluppate.
 
Gli alternatori
La batteria è sempre al centro di ogni discussione che riguardi l’impianto elettrico di un’auto. Peccato che se non ci fosse un elemento importante e correttamente dimensionato come l’alternatore, la batteria potrebbe aiutarci per periodi molto brevi.
L’alternatore è la naturale evoluzione della dinamo, ma le potenze che l’alternatore è in grado di mettere in gioco sono del tutto superiori. Dalle poche centinaia di watt delle dinamo si è passati agli oltre 1.5 kW degli alternatori.
L’alternatore genera l’energia elettrica che provvede a ricaricare la batteria e a sostentare le utenze di bordo grazie a un principio base dell’elettrotecnica. Facendo ruotare un conduttore all’interno di un campo magnetico è possibile raccogliere una tensione ai capi del conduttore stesso.
Un alternatore si compone fondamentalmente di uno statore e di un rotore dotato di spazzole.
Come anticipato, il funzionamento dell’alternatore, che è una macchina elettrica trifase, si basa sul principio dell’induzione. Nelle applicazioni tipicamente automobilistiche il campo magnetico viene prodotto dal rotore che durante la sua rotazione cambia la polarità rispetto alle spire (avvolgimento) dello statore, che ovviamente rimane fermo. In pratica, la tensione viene raccolta ai capi dello statore da cui viene prelevata la corrente dopo essere stata raddrizzata da opportuni diodi. Inutile ora entrare ulteriormente nel dettaglio.
Ricordiamoci però che le prestazioni dell’alternatore devono essere tali da garantire ottimi valori di carica, già quando il motore ruota al suo regime di minimo. Ovviamente deve pesare poco ed essere particolarmente affidabile. Deve essere sigillato in modo da non venir compromesso da eventuali detriti o da sporco che potrebbe circolare nella zona del vano motore.
Gli alternatori, inoltre, sono per loro natura elementi molto costosi e questo è il motivo per cui è bene che durino per molto tempo. In generale, il loro ciclo di vita va ben oltre quello del veicolo sul quale vengono montati, ma non sono rarissimi i casi di alternatori che hanno riportato nel tempo malfunzionamenti.
Come abbiamo detto, l’alternatore produce corrente alternata e questa sua caratteristica va tenuta ben presente, perché i sistemi di bordo utilizzano corrente continua. Questo è anche il motivo per cui si procede a raddrizzare la corrente prodotta.
C’è però un altro aspetto cruciale: bisogna evitare che la batteria si scarichi sul circuito dell’alternatore. Ecco allora la preziosa collaborazione dei diodi che consentono alla corrente di fluire in una sola direzione. State molto attenti a non invertire la polarità dei cavi, in quanto questa pericolosa inversione potrebbe causare la rottura dei diodi raddrizzatori.
 
Le candele
Una volta le candele si cambiavano dopo poche migliaia di chilometri. Ora, questi componenti sono diventati così evoluti che anche sulle city-car si possono raggiungere distanze nell’intorno dei 100.000 chilometri senza doversi preoccupare di sostituirle.
Come un tempo, anche la candela più moderna è costituita da un isolante e dagli elettrodi. Ai capi della stessa troviamo da una parte l’attacco per il cavo o per la bobina (nel caso dei motori con singola bobina per cilindro), dall’altra l’elettrodo di massa e quello positivo affacciati tra loro con il compito di generare la scintilla.
Per alcuni motori estremamente sofisticati, potenti e di ultimissima generazione, sono state realizzate anche candele con sensori di detonazione integrati (uno di questi è BMW per alcuni motori della serie M).
Da un punto di vista concettuale ricordiamo che uno dei parametri fondamentali per la realizzazione delle candele è il loro grado termico. Ogni motore necessita di candele specifiche. In altre parole, i motori più potenti e più spinti avranno bisogno di candele capaci di dissipare bene il calore, perché si troveranno a lavorare in condizioni proibitive. Per i propulsori più “tranquilli” e meno tirati, l’uso di candele più calde è fondamentale per non incorrere in problemi di vario tipo, come per esempio le mancate accensioni. Mancate accensioni che porterebbero a imbrattamento degli elettrodi con un peggioramento repentino delle prestazioni del motore.
Il progresso delle candele ha dell’incredibile se si pensa che si tratta di elementi che gestiscono tensioni di oltre 40 kV.
Sempre per quanto riguarda il grado termico, vale la pena sottolineare una questione che a volte genera confusione. Una candela fredda ha grado termico alto e quindi si tratta di una candela che riesce a smaltire molto calore e che è destinata a motori con elevata potenza specifica. Una candela calda ha grado termico basso e, a differenza della prima, dissipa meno perché montata su motori che scaldano sensibilmente meno.
 
Le luci
Ecco un altro grande filone legato alla storia evolutiva dell’impianto elettrico: luci e proiettori, anteriori e posteriori, a lampadina tradizionale, alogene, allo Xeno e a LED. Insomma, anche in questo caso, le cose si sono fatte molto più complicate, sicuramente più costose, ma allo stesso tempo molto più interessanti.
Le lampade alogene, che ormai appartengono già a una storia datata, si caratterizzano dal punto di vista tecnico per il gas alogeno che viene immesso all’interno dell’ampolla. Generalmente si tratta di bromo o di iodio. Il filamento raggiunge temperature di esercizio sensibilmente più elevate di quelle tradizionali, cosa che giustifica la loro maggiore luminosità rispetto a quelle tradizionali, e pressioni interne di lavoro talvolta anche molto alte, prossime anche ai 40 bar.
Abbiamo poi nominato quelle allo Xeno. Queste lampade non hanno un filamento vero e proprio, ma la luce viene generata dall’arco elettrico che si instaura tra i due elettrodi immersi nello Xeno. Avrete notato come una tipica luce allo Xeno raggiunga la sua luminosità massima solo dopo qualche secondo e questo comportamento è motivato proprio dalla tecnologia con cui la luce stessa viene generata.
Uno dei vantaggi principali della lampada a scarica di gas rispetto alle tradizionali alogene è il minor assorbimento energetico, aspetto fondamentale per l’intera economia del sistema elettrico di bordo.
Purtroppo, la tecnica ci presenta sempre alcuni rovesci della medaglia e in questo caso la voce che dovrebbe mettere in guardia è quella legata ai costi. La lampada a scarica di gas infatti richiede per funzionare un modulo aggiuntivo che ha un costo molto elevato. In caso di incidente, dove per incidente si intende anche un solo banale tamponamento, i costi di riparazione potrebbero essere elevati.
 
Le batterie
Le batterie, o accumulatori, si sono evolute in silenzio nel corso del tempo. Come molti altri elementi nascosti sotto il cofano delle loro auto, anche le batterie sono equipaggiamenti poco conosciuti alla maggior parte degli utenti.
L’energia fornita da una batteria a 12 volt viene ottenuta ponendo in serie delle piastre collegate elettricamente e messe a bagno in un elettrolito che di fatto è acido solforico. Le piastre sono negative e positive, con le prime costituite essenzialmente da piombo, mentre quelle positive sono realizzate con ossido di piombo. Con questo sistema è possibile ottenere la differenza di potenziale a cavallo delle due, grazie alla presenza anche dell’elettrolita.
In sostanza, quando siamo in fase di scarica della batteria stessa, parte dell’acido solforico si trasforma in acqua, modificando la propria densità. Freddo e caldo estremi sono nemici delle batterie; inoltre, installare una batteria inadeguata, ossia non corrispondente alle richieste del costruttore significherebbe mettere in crisi o il sistema di ricarica o la durata della batteria stessa, a seconda che si scelga una batteria troppo grande (in termini di capacità) o una troppo piccola.
I dati di targa di una batteria per auto sono principalmente tre: la corrente di prova a freddo, la sua capacità nominale e la sua tensione, sempre nominale. Nel mondo automotive odierno, la tensione nominale è ovviamente pari a 12 Volt, ottenuti con sei piastre da 6 volt.
La capacità invece indica la corrente che la batteria può garantire e quindi erogare e viene indicata in Ampere. a capacità a freddo invece viene misurata in Ah (noti come amperora); questo valore viene definito dalla normativa e si considera come la corrente che la batteria è in grado di fornire in corrispondenza di una temperatura di -18°C senza che la singola piastra scenda sotto una tensione di 1.5 Volt dopo soli 30 secondi. Insomma, una prova oltre che rigorosa anche molto severa.
Esistono differenti tipi di batterie, ma le più moderne e affermate oggi utilizzate anche per i sistemi Stop&Start sono le AGM. Si tratta di accumulatori che si differenziano da quelli classici a gel perché vengono realizzati con una tecnologia differente. Possono essere considerate l’ultima frontiera in termini di tecnologia e produzione di accumulatori per auto, e non solo. L’acronimo AGM, oggi sulla bocca di tutti, è il modo veloce per indicare la tecnologia Absorbent Glass Matt, in cui la presenza di una microfibra di vetro (boro-silicato) specifica consente di trattenere l’acido necessario al funzionamento. Grazie a queste microfibre, è possibile raggiungere due mission molto importanti: ridurre la quantità di acido da utilizzare, e quindi di conseguenza la massa dell’accumulatore, e accorciare la distanza tra le singole piastre, altro parametro importante per contenere l’ingombro dell’accumulatore. Anche quest’ultimo aspetto gioca un ruolo fondamentale nel processo di progettazione delle auto di oggi in cui ogni millimetro deve essere sfruttato al meglio.
Questa tecnologia che abbiamo descritto in modo sommario permette anche di raggiungere altri fondamentali obiettivi. Si tratta di accumulatori, per esempio, che potrebbero essere montati, al limite, anche rovesciati, perché il pericolo di fuoriuscita di acido è totalmente scongiurato. Sopportano inoltre maggiori cicli di carica e scarica e la ricarica, a parità di dati di targa, avviene più velocemente. Solitamente si impiega una corrente di ricarica compresa tra il 10% e il 20% della carica nominale.
 

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Tags: impianti elettrici