Sebbene abbiano faticato ad affermarsi nel nostro paese, ora i cambi automatici, nelle loro diverse forme, iniziano a riscuotere interesse anche tra gli italiani. Vediamo come funzionano i diversi meccanismi genericamente indicati come “cambio automatico”.
L’evoluzione dei cambi automatici ha conosciuto un’impennata da quando i robotizzati e i doppia-frizione hanno fatto l’ingresso sul mercato. L’argomento non è sempre al centro delle discussioni tra appassionati, ma l’importanza del cambio è cruciale per ottenere i difficili obiettivi della moderna industria automobilistica.Lo scarso approfondimento è anche la causa della grande confusione che c’è sull’argomento, tanto che non sono pochi coloro che ancora oggi fanno fatica a distinguere le diverse tipologie di cambi. Vedremo anche qualche caso applicativo, giusto per capire come i costruttori hanno affrontato l’argomento.
Vengono definiti tutti indistintamente con il termini “cambi automatici”, ma l’automatismo e/o la meccanica che consente il passaggio autonomo da un rapporto all’altro è concettualmente molto differente, a seconda che si consideri un robotizzato, un doppia frizione, un automatico tradizionale o, ancora, un sistema a variazione continua.
Un’ultima precisazione riguarda la terminologia che talvolta potrebbe trarre in inganno. Spesso, è consuetudine parlare di cambi o di trasmissioni indistintamente, senza fare le dovute precisazioni. Bene, pur non trattandosi di un errore da riga rossa, vale la pena ricordare che il cambio è un sistema facente parte di quell'insieme più articolato che prende il nome per l'appunto di trasmissione.
Quest’ultima, oltre al cambio, comprende elementi come l’albero di trasmissione, il differenziale, i semiassi e altri componenti che normalmente non vengono citati. Non è una differenza da poco, ma fatta questa precisazione, e consci di utilizzare il termine trasmissione in modo del tutto non corretto, da qui in poi, per questioni di comodità utilizzeremo i due termini, cambio e trasmissione, indistintamente.
Gli standard di funzionamento per il cambio moderno
Un cambio moderno deve soddisfare parecchi requisiti, talvolta vincolanti, talvolta meno, ma che rappresentano sempre una grande sfida.
Devono essere poco ingombranti, pesare poco, essere silenziosi e garantire un funzionamento morbido e privo di strappi. Inoltre, il cambio perfetto dovrebbe avere un numero di rapporti infiniti, perché solo così si potrebbe accompagnare il motore termico durante tutte le possibili situazioni di marcia.
Da qui, e lo vedremo poco più avanti, il tentativo di alcuni costruttori di sopperire a questa necessità con l’introduzione di cambi a variazione continua o, in altri casi, con cambi ad elevato numero di rapporti.
Un esempio pratico applicativo è il recente automatico a dieci marce costruito in joint-venture da General Motors e Ford, trasmissione che sta approdando su numerosi veicoli dei due colossi americani, tra cui la Ford Mustang più recente, ora in vendita anche nel nostro paese.
Ma i parametri di progetto indicati poco sopra non sono certo gli unici. Un cambio ben progettato non può prescindere dall’affidabilità, dalla robustezza, dal costo di realizzazione e anche dall’efficienza meccanica. Quest'ultimo aspetto dovrebbe essere evidente, anche perché un cambio a elevato numero di rapporti con una bassa efficienza sarebbe una vera contraddizione in termini.
Quindi, tradotto in altre parole, stiamo parlando della riduzione delle perdite meccaniche, argomento che sta impegnando a fondo, sia i costruttori di cambi, sia i produttori di lubrificante.
Tipologie: il cambio automatico tradizionale
Il cambio automatico tradizionale, quello a cui si fece per anni riferimento, è quello messo in commercio, su veicoli prodotti in serie, dagli americani e se dovessimo fare ricorso alla memoria storica, i ricordi vanno sicuramente a General Motors e alle sue trasmissioni HydraMatic.
Il cambio automatico tradizionale si riconosce per la presenza del convertitore di coppia, un elemento che si è evoluto moltissimo in questi ultimi anni, ma che fondamentalmente è il protagonista del cambio automatico per eccellenza, quello a cui molti pensano quando si parla di trasmissioni automatiche.
Non entriamo ora nel dettaglio, ma ricordiamo che il convertitore è quell’elemento che mette in collegamento il motore con il cambio, grazie alle proprietà fluidodinamiche dei suoi elementi rotanti (pompa e turbina), del suo elemento intermedio, lo statore, e del fluido operante al loro interno.
Si tratta di cambi che offrono una eccezionale omogeneità di funzionamento, sono piacevolissimi da utilizzare e soprattutto, grazie al principio con cui funziona il convertitore di coppia, riescono a regalare spunti elevati, in partenza, anche quando i valori di coppia messi a disposizione dal motore non sono elevati. D’altro canto, generalmente si tratta di cambi che hanno un’efficienza più bassa per questioni fluidodinamiche legate al principio con cui funziona il convertitore di coppia stesso.
Come anticipato, gli americani sono stati maestri nello sviluppare il concetto di cambio automatico tradizionale con convertitore, ma anche qui in Europa ci sono aziende che vantano una enorme tradizione storica nel settore delle trasmissioni automatiche. Basti pensare alla tedesca ZF che è diventato un riferimento per tutti, americani compresi.
Tipologie: i cambi robotizzati
I cambi robotizzati, invece, possono essere considerati una versione aggiornata delle tradizionali trasmissioni manuali.
In questo caso, l’idea fu di automatizzare le operazioni del conducente, lasciando invariato il principio di funzionamento. È così che è sparita la frizione, mentre tutti i movimenti prima operati dal conducente sono stati robotizzati, o automatizzati, grazie all’utilizzo di servomeccanismi che si occupano di disinnestare e innestare la frizione e muovere i tiranti che azionano le aste per le operazioni di selezione e innesto.
Il risultato è una trasmissione che funziona concettualmente allo stesso modo del cambio tradizionale, ma in cui il conducente non deve più preoccuparsi di tutta una serie di operazioni.
I vantaggi sono la semplicità costruttiva, l’elevata efficienza tipica del cambio tradizionale, il basso costo di realizzazione e la compattezza. Purtroppo, però, si tratta di sistemi spesso e volentieri molto lenti, non così entusiasmanti sotto il profilo del “fun-to-drive” e che talvolta presentano problemi di affidabilità.
Ovviamente, anche in questo caso, esistono applicazioni ben fatte e dotate di ottime velocità di esecuzione. Si tratta, però, quasi sempre, di applicazioni di gamma alta.
Tipologie: il cambio a doppia frizione
Il cambio a doppia frizione (noto anche con l’acronimo DCT, ovvero Dual Clutch Transmission), invece, è un’invenzione relativamente moderna e in questo caso, ci troviamo di fronte a qualcosa di veramente geniale.
Grazie alla presenza delle due frizioni montate concentricamente una all’altra, i progettisti sono riusciti a realizzare un cambio super efficiente sotto il punto di vista energetico e, allo stesso tempo, una trasmissione velocissima e capace di entusiasmare chiunque abbia una pur minima capacità di recepire il comportamento della propria auto.
Il trucco, se così vogliamo chiamarlo, consiste nella possibilità di ingranare due diversi rapporti allo stesso tempo e poter selezionare uno o l’altro semplicemente disinnestando una frizione e innestando l’altra, o viceversa.
Audi ha fatto da apripista con il proprio DSG, un prodotto veramente eccezionale sotto ogni punto di vista, ma oggi i costruttori che offrono a listino cambi robotizzati sono numerosi. Pensiamo al Power Shift di Ford, al TCT di Fiat e al PDK di Porsche, giusto per citarne alcuni tra i più famosi.
Tipologie: trasmissioni a variazione continua
Un’ulteriore proposta nel settore dei cambi automatici arriva dalle trasmissioni a variazione continua (note anche come CVT, ovvero Continuously Variable Transmission) tipiche ad esempio degli scooter moderni, ma che hanno fatto la loro apparizione anche nel mondo automobilistico e non solo di recente.
Pensiamo alla Fiat Uno Selecta di parecchi anni fa o alle proposte di Honda e Toyota (è noto il cambio E-CVT di quest’ultima). In questo caso, il sistema utilizza un elemento di trasmissione che possiamo pensare simile a una cinghia in acciaio, la quale collega due pulegge in grado di variare il proprio diametro. Una di queste pulegge è ovviamente quella condotta, l’altra è quella conduttrice.
Si chiamano a variazione continua, perché grazie alle infinite possibilità di regolare i diametri delle due, si possono ottenere infiniti rapporti di trasmissione. Sono cambi automatici che gli appassionati vedono come il fumo negli occhi. Sanno essere efficienti, offrono elevati target di fuel-economy, sono molto dolci, ma il feedback che si percepisce alla guida è più da trasmissione monomarcia che da cambio vero e proprio.
In realtà, sono molto apprezzati da un pubblico meno passionale, ma più orientato al puro utilizzo dello strumento.
Due parole sulla gestione elettronica
L’evoluzione dei cambi automatici è il frutto anche dell’elettronica.
Con l’avvento di quest’ultima, infatti, sono state rese disponibili strategie di gestione una volta impossibili. Con un elettronica veloce, un sistema di elettroattuazione pronto e servomeccanismi adeguati, oggi si ottengono passaggi di marcia migliori di quelli che un uomo potrebbe raggiungere con il comando manuale.
Ma non solo. L’elettronica entra in aiuto anche in situazioni che, una volta, richiedevano perizia da parte del pilota, come le fantastiche “doppiette”, ovvero quei sistemi che in gergo più tecnico accordano meglio le velocità di innesto durante le scalate, per evitare di incorrere nel fastidioso freno motore dovuto alla elevata differenza di velocità tra albero motore e albero del cambio.
Purtroppo, però, l’elettronica è stata utilizzata in passato per sopperire a deficienze meccaniche della trasmissione o alla non perfetta compatibilità tra motore e cambio. Un diesel e un benzina, tanto per chiarire meglio l’argomento, hanno necessità del tutto differenti in termini di rapporti.
Il motore a gasolio offre coppie elevate anche a basso numero di giri, ma la potenza viene sviluppata a un regime non molto elevato. Diversamente un motore a benzina si distingue per un arco di utilizzo molto più ampio.
Questo significa che non è possibile montare un cambio destinato a un diesel su un motore a benzina o viceversa, perché così facendo sarebbe più complicato gestire i momenti di cambiata.
Purtroppo per questioni di economie di scala, talvolta ciò avviene e, per poter “accordare” un cambio non proprio idoneo con il motore, si ricorre all’elettronica, ma quando ciò accade, ci si rende presto conto, anche durante la guida di tutti i giorni, che il sistema offre una taratura di compromesso che inficia la buona guidabilità del mezzo. Ciò si ripercuote sui consumi, sulla piacevolezza di guida e sul comfort a bordo, questioni che a volte dovrebbero essere anteposte al nudo e crudo interesse economico.
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