Articoli | 01 June 2006 | Autore: Redazione

Compressori cinesi: allarme rosso affidabilità

I risultati di una prova comparativa effettuata da Denso non lasciano dubbi: i compressori cinesi testati sono inaffidabili e pericolosi. Vediamo perché all’officina non conviene usarli.

Si avvicina l’estate e il clima si surriscalda, non solo per le probabili prossime (speriamo) temperature, ma anche sui prodotti destinati al comfort di guida durante il periodo estivo. Parliamo ovviamente dei compressori, componente principale coinvolto nel processo di raffreddamento dell’aria nell’abitacolo della nostra vettura. La sostituzione di un compressore è un intervento molto interessante per il mercato della riparazione indipendente, anche perché ormai tutti i veicoli di recente immatricolazione montano l’impianto A/C di serie e quindi si parla di milioni di sistemi che necessitano di manutenzioni più o meno importanti.
Questa ghiotta fetta di mercato non è sfuggita alle attenzioni anche dell’industria cinese, che con prodotti spesso di qualità assai lontana dall’essere equivalente all’originale, si presenta al mercato italiano con prezzi inferiori anche del 50% della media.

Fare gli “struzzi” non serve
Fare gli struzzi non serve, anzi può essere molto pericoloso per se stessi e, più in generale, anche per il mercato della riparazione indipendente. Vediamo quali sono le ragioni a supporto di questa nostra affermazione.
Quando si monta su un veicolo un componente per una riparazione, l’officina che effettua la riparazione conclude un contratto con il proprio cliente automobilista, al quale garantisce la conformità sia del lavoro sia del componente per due anni. Quindi, se nei 24 mesi dall’avvenuta riparazione e/o installazione, si verifica un difetto di fabbrica del prodotto oppure di conformità del lavoro effettuato, scatta la garanzia con il conseguente risarcimento del danno a favore del cliente.
La rottura di un compressore può comportare spesso la rottura della cinghia di distribuzione con tutte le conseguenze del caso. Se poi tutto ciò dovesse accadere a forte velocità in autostrada, i rischi che accada qualcosa di ben più grave ci sono tutti.
L’officina che si vedesse “piombare” addosso una richiesta danni ingente a causa del danno procurato dall’installazione di un prodotto non conforme, può cercare di rivalersi sul ricambista e/o distributore da cui l’ha comprato, sempre che abbia richiesto la garanzia dei due anni sul prodotto acquistato. Da questa prima richiesta di risarcimento al venditore, che difficilmente è in grado di coprire danni così elevati, inizia il processo di recessione, cioè di recupero del danno a monte ovverosia direttamente dal produttore del componente, poiché si presuppone che questi sia, oltre che il vero responsabile della produzione di un componente di dubbia qualità, anche economicamente più saldo e quindi in grado di pagare i danni causati dai suoi prodotti.
Tutto questo è possibile quando si riesce a capire in modo certo chi è il produttore del componente, quindi attraverso marchi, punzonature, dealer autorizzati. Quando invece si ha sotto mano ricambi non marchiati, quindi non identificabili, diventa difficile dimostrare anche chi l’ha venduto all’officina e non solo chi l’ha prodotto. Il risultato di tutto questo è che l’officina rimane l’unica scoperta e probabilmente sarà costretta a chiudere. Vale la pena allora farsi tentare da un immediato risparmio senza pensare alle possibili conseguenze? Quando si ha a che fare con prodotti ad alto contenuto tecnologico la risposta è sicuramente no!
Dai risultati che pubblichiamo di seguito derivati dalla indagine Denso, risulta assai probabile, viste le scarsissime prestazioni di longevità e affidabilità dei compressori cinesi sottoposti alla prova, che saranno numerose le richieste di risarcimento degli automobilisti nel prossimo futuro alle officine che ne avranno fatto uso. Non lamentiamoci se poi la riparazione indipendente perde progressivamente la fiducia dell’automobilista.

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