Articoli | 01 June 2007 | Autore: Avvocato Vittore d’Acquarone

La garanzia sui prodotti di importazione: una questione delicata

Un esempio concreto di reclamo su un prodotto di importazione difettoso: chi risponde del risarcimento se il ricambio è in garanzia. di tenuta di strada; il mercato, invece, patisce l’evoluzione tecnologica e l’ammortizzatore vende sempre meno.

L’importazione di ricambi dall’estero tramite rivenditori autorizzati può si rappresentare un problema nel momento in cui ci si trova di fronte a un reclamo per un prodotto difettoso. Infatti, se il ricambista si approvigiona presso un distributore nazionale che a sua volta rappresenta dei marchi presenti sul mercato nazionale o europeo, sicuramente, in caso di reso, risalire al produttore o rivenditore per ottenere un risarcimento è molto più semplice. Nel caso invece di prodotti provenienti da lontano, per esempio dall’Estremo Oriente, la gestione di un reso difettoso in garanzia è sicuramente più complessa.
In particolare, volendo fare come esempio il caso concreto di un ricambio orientale importato da un’azienda italiana e commercializzato sul mercato nazionale da distributori italiani che mai vengono in contatto con il produttore, come ci si deve regolare in caso di richiesta di risarcimento per un prodotto in garanzia? E in particolare, da quando parte e quando scade il periodo di garanzia? E ancora, come può tutelarsi il distributore nei confronti dell’utente finale?

Cosa dice il Codice del Consumo
Come noto, il Codice del Consumo (C.d.C.) prevede che il consumatore possa far valere, nei confronti del venditore finale, la garanzia del bene di consumo acquistato, nel termine di 26 mesi dalla sua consegna.
Lo stesso testo normativo si occupa però anche di risolvere le questioni attinenti al regresso del venditore finale verso gli altri soggetti della catena distributiva.
In particolare, l’articolo 131 del C.d.C. prevede infatti che: “il venditore finale, quando è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile a un’azione o a un’omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto di regresso, salvo patto contrario o rinuncia, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva. Il venditore finale che abbia ottemperato ai rimedi esperiti dal consumatore può agire entro un anno dall’esecuzione della prestazione, in regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili per ottenere la reintegrazione di quanto prestato”.
Ciò significa, a mio avviso, che il venditore finale può agire anche direttamente nei confronti del produttore o dell’importatore (il codice discute di soggetto o di soggetti, con ciò facendo intendere che l’azione è proponibile anche ad altri rispetto al proprio diretto rivenditore), sempre che esso sia responsabile; e cioè sempre che gli possa essere imputato un qualche profilo di colpa.

I tempi della garanzia
Peraltro, l’azione di regresso ha un termine di prescrizione che è, sotto un certo punto di vista, molto più vantaggioso di quello previsto per i diritti del consumatore; sebbene esso sia ridotto a un anno, il termine decorre non dalla consegna (come previsto per il consumatore), ma dall’esecuzione della prestazione e cioè dal momento in cui il venditore finale abbia soddisfatto i diritti del consumatore.
Alla luce di quanto evidenziato, dunque, la pratica messa in atto da alcune aziende di applicare un’etichetta con la data di vendita, per indicare che il periodo di garanzia di 12 mesi parte da quel momento e non dalla data in cui il pezzo veniva effettivamente usato, non dovrebbe a mio avviso avere alcun effetto. Infatti, è lo stesso codice a fissare in un anno dall’esecuzione della prestazione il diritto di regresso (salvo però il patto contrario o la rinuncia, che però andrà provato).

Chi è responsabile?
Il problema, a questo punto, sta nell’individuare il soggetto o i soggetti responsabili ai sensi dell’articolo 131. A mio avviso, il mero distributore non potrebbe essere ritenuto tale, perché si limita a commercializzare un bene e quindi non interviene nel suo processo produttivo (salvo che i difetti non siano dovuti a un vizio di trasporto, o altro, messo in atto dal distributore stesso).
Ciò non significa, tuttavia, che responsabile possa essere ritenuto il solo produttore (anche perché nel caso preso ad esempio, potrebbe essere necessario convenire un’impresa cinese, con tutte le conseguenze del caso!). Potrebbe quindi essere ritenuto tale proprio l’importatore: da un lato perché egli stesso potrebbe spesso identificarsi con il produttore-committente (che dà in appalto la fabbricazione del prodotto all’impresa cinese), dall’altro perché comunque (nel caso, a mio avviso comunque molto raro, in cui esso si limiti ad acquistare il prodotto cinese e a importarlo in Italia), perché su di lui dovrebbero gravare idonei obblighi di garanzia sul controllo del prodotto, essendo colui che interviene direttamente nel suo primo acquisto.

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