I grandi distributori arriveranno a controllare il mercato? Come reagirà l’aftermarket all’emergenza Covid-19? Di questo e molto altro abbiamo parlato con Fotios Katsardis, presidente e CEO di Temot International.
Oggi il nostro interlocutore è Fotios Katsardis, presidente e CEO di Temot International, personalità di spicco e profondo conoscitore dell’aftermarket internazionale. È con lui in questa intervista che proviamo a tracciare un quadro delle trasformazioni future, ad analizzare i fenomeni in atto e a vedere quali saranno le sfide che la filiera della riparazione si troverà ad affrontare.
Temot è un gruppo d’acquisto internazionale attivo in ben 89 paesi. Dato il vostro punto di vista privilegiato, come vede la situazione europea della distribuzione ricambi nella situazione attuale?
Parlando della situazione attuale, che sta vivendo l’aftermarket europeo, dovremmo fare una distinzione tra un prima e un dopo la pandemia Covid-19.
Se nella situazione pre Covid-19 il mercato era ancora in crescita con una tendenza di miglioramento annuo dell'1–2% fino a tutto il 2025, oggi le cose sono diverse.
L'Europa è sulla strada del consolidamento con velocità diverse da paese a paese. Al suo interno, infatti, troviamo sia mercati estremamente frammentati, come l'Italia, sia molto consolidati, come i Paesi Bassi o la Danimarca.
L’aftermarket conta oggi oltre 4,3 milioni di posti di lavoro e circa 500.000 imprese, di cui quasi 30.000 sono distributori; in particolare il 99,9% di questi player sono piccole e medie imprese con ricavi annui ben inferiori a 50 milioni di euro.
Esiste, però, anche un numero molto limitato di distributori con un fatturato annuo superiore a 500 milioni di euro, che stanno registrando una crescita stabile e un buon margine. Nonostante l’aftersales europeo abbia già un certo numero di grossisti di grandi dimensioni che operano a livello internazionale, i primi 10 di questi detengono una quota di mercato che non supera il 15%, mentre il top ten dei distributori negli Stati Uniti rappresenta una quota di mercato del 50%.
Ciò significa che abbiamo ancora molta strada da fare. Emerge quindi che i grandi player possono godere di margini migliori grazie ai loro volumi di acquisto, ai ricavi, agli enormi magazzini e alla logistica efficiente. Hanno perciò una presenza Paneuropea, che li mette nelle condizioni di trarre profitto dalla mancanza di armonizzazione dei prezzi e di bilanciare la loro crescita in diversi mercati secondari europei.
Ma oltre al livello di frammentazione, il mercato post-vendita automotive europeo presenta anche alcune differenze tra Est e Ovest. L’Ovest è, infatti, un mercato maturo e ormai saturo, mentre l’aftermarket dell’Est è ancora in forte crescita: il numero di veicoli circolanti in questi paesi (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia, Russia ecc.) è aumentato di oltre il 40% tra il 2010 e il 2019.
Con un’età media del parco auto superiore ai dieci anni e la debolezza della rete OES, la crescita è stata evidente con il risultato che ad esempio i distributori polacchi sono usciti dai propri confini e operano in tutta Europa.
Tutto questo prima della pandemia Covid-19, che ha fortemente impattato la filiera dell’aftermarket indipendente in Europa, ma soprattutto le piccole e medie imprese.
Grazie ad alcune indagini tra i membri dei nostri soci abbiamo ricevuto feedback e dati concreti, che ci hanno aiutato ad avere un quadro più chiaro dell’impatto del Coronavirus sulle imprese.
Non sorprende che l’impatto del Covid-19 sul nostro mercato sia stato particolarmente forte nei paesi più colpiti dal virus come l'Italia, la Spagna e la Francia, ma ciò è vero anche per quei paesi che hanno reagito tempestivamente e adottato misure anti-virus di successo come la Grecia e altri paesi Balcanici.
In generale, la pandemia ha avuto sull’aftermarket un impatto profondo (e negativo) nella maggior parte dei paesi dell'UE.
Nonostante la filiera della riparazione sia sempre stata operativa, se pur a ritmi ridotti, il blocco alla circolazione e i lockdown hanno provocato un forte calo della domanda, con un effetto drammatico sull'accesso alle liquidità per la stragrande maggioranza delle PMI e delle imprese familiari del settore. Siamo perciò molto preoccupati per il futuro e per la sopravvivenza delle piccole e medie imprese.
In Europa coesistono diversi mercati con dinamiche a sé stanti. Come riuscite a gestire così tanti paesi e le loro diversità?
Temot è un gruppo internazionale basato sulla cooperazione volontaria. La cooperazione e il networking, in quanto tali, sono processi dinamici che aiutano diverse aziende a lavorare e agire insieme per ottenere benefici e vantaggi comuni.
Nel nostro caso i soci collaborano in materia di approvvigionamento, catena di fornitura, marketing e soluzioni IT. L’obiettivo finale è la razionalizzazione, il risparmio sui costi, l'efficienza e una redditività sostenibile.
Questa è la “quintessenza” dell’essere parte di un gruppo d’acquisto internazionale. Temot, infatti, ha lo scopo di consentire a piccole e medie imprese di beneficiare di condizioni di acquisto altrettanto favorevoli (anche se, purtroppo, non sulla stessa scala dei grandi attori del settore). Un gruppo come il nostro richiede il rispetto degli elementi culturali, l'adattamento alle norme nazionali e il rispetto della sovranità dei suoi membri. Ci sono regole, procedure e statuti che devono essere seguiti e rispettati. Il segreto sta, quindi, nella collaborazione: c’è bisogno di “combattere” per gli stessi obiettivi e fare squadra. Solo così si può essere vincenti e fare la differenza: per dirla come i Latini “Et pluribus unus” o “ubi concordia ibi victoria”.
Come vede il mercato italiano rispetto a quello degli altri paesi europei?
Il mercato italiano ha caratteristiche ben precise: uno dei parchi circolanti più grandi al mondo e una densità molto elevata. L'Italia è una delle poche nazioni con una struttura completa (produttori di automobili, di componenti, di attrezzature). In quanto tale, può essere paragonato solo con paesi europei o internazionali simili come per esempio il Giappone, la Germania o la Francia.
I “guru” dell'aftermarket, ovviamente, prima o poi inizieranno a parlare delle debolezze del sistema italiano e lamenteranno la diffusione eccessiva di officine piccole, la mancanza di distributori internazionali potenti, la presenza di troppi livelli di distribuzione (filiera lunga) e la forte differenza tra Nord e Sud. A mio avviso non possiamo applicare gli standard tedeschi o inglesi per valutare il mercato italiano.
Prima di tutto, dopo la considerazione che l’Italia è un paese automobilistico da 100 anni, dobbiamo capirne la cultura, la posizione geografica, conoscere l’economia internazionale e guardare la struttura sociale a un livello micro. A questo punto, poi, possiamo anche capire perché il mercato italiano è così diverso.
È un mercato affascinante, molto stimolante, più unico che raro con tutte le sue dinamiche. Il fatto che sia uno dei mercati più grandi significa anche che può essere influenzato da quanto succede nel resto del mondo, ma sempre e comunque al ritmo che il mercato stesso consente.
In questi anni l’Italia ha visto l’ingresso di grandi player internazionali che però non sembrano aver modificato la nostra filiera distributiva (3 steps). Pensa che questa situazione cambierà?
Come ho detto poco fa, il mercato italiano ha un grande circolante, possiede una catena di approvvigionamento completa e un potenziale molto elevato. Da secoli è un mercato attraente e aperto alle aziende estere, sia dal punto di vista culturale sia da quello finanziario-fiscale.
Quella che oggi chiamiamo frammentazione, era ed è ancora una naturale opportunità commerciale.
Un consolidamento complessivo della distribuzione può verificarsi se e quando le opportunità di business non esistono più e quando i margini non sono sufficienti per sostenere l'intera catena.
Ciò può succedere quando accelera la trasformazione del settore e del paese, quando si verificano cambiamenti dirompenti o quando il consolidamento sta cambiando il panorama competitivo.
Date le particolarità culturali ed economiche italiane, il sistema fiscale e sociale, il difficile contesto economico del paese e la debolezza generale nel campo delle fusioni e acquisizioni, non vedo un rapido cambiamento nella filiera distributiva. Certamente negli ultimi anni abbiamo assistito a un'attività di consolidamento più elevata, rispetto agli anni precedenti, ma siamo molto lontani dal parlare di una attività molto aggressiva. In Germania, per esempio, abbiamo almeno 10 aziende in IAM con oltre 300 milioni di fatturato. In Italia quante? Una?
Tuttavia, il consolidamento e i cambiamenti dirompenti cambieranno alcune dinamiche e causeranno anomalie di mercato a medio e lungo termine.
Le grandi aziende coglieranno perciò l'occasione e dopo un processo di fusione saranno in grado di rinegoziare le condizioni di acquisto con i fornitori e rafforzeranno la loro posizione sul mercato.
Penso che la concorrenza in Italia sarà ulteriormente rafforzata, perché i vantaggi in termini di costi dei principali attori del mercato non sono stati creati originariamente attraverso le loro prestazioni sul mercato locale, ma sono venuti dall'estero sotto forma di capitale esterno. È prevedibile che le nuove acquisizioni saranno effettuate da professionisti finanziari, principalmente venture capitalist.
Miliardi di capitali raccolti stanno aspettando di essere investiti in tutto il mondo. La domanda "chi è il prossimo?" porta disordine nel mercato. Il mercato non è più in equilibrio dal momento che la sua spina dorsale, il business locale e le piccole e medie imprese sono disturbate. Nel complesso, l'aftermarket automobilistico non è un'isola. L'IAM sarà fortemente influenzato da tendenze come per esempio: l'urbanizzazione, i modelli demografici, la condivisione dei servizi e il cambiamento dello stile di vita.
La digitalizzazione di fatto aiuta lo sviluppo dell'auto connessa e rafforza tutte le nuove tecnologie: accelererà i cambiamenti nella motorizzazione, alimenterà la diagnostica preventiva; l'ibridazione supporterà l'elettrificazione e la guida autonoma.
Trasparenza del mercato, offerta multipla, micromarketing supportati dai big data come risultato naturale delle possibilità tecnologiche, della telematica e dell'auto connessa in generale in un mondo connesso: tutte queste cose cambieranno le esigenze di servizio al consumatore. Forse non nell’immediato, ma verso il 2025-27 vedremo il punto di non ritorno nei cambiamenti precedenti e quindi non ci sarà modo di tornare indietro. Ho il sospetto che stiamo vivendo nel decennio 2020 le ultime fasi della IAM e dei distributori come li conosciamo, e questo non solo in Italia.
In Italia come in altri paesi si stanno delineando delle nuove formule aggregative e alcuni ricambisti stanno crescendo tanto da diventare quasi dei competitor dei distributori. Quale impatto può avere questa crescita sul mercato e all’interno di un gruppo internazionale come il vostro?
Da quanti anni discutiamo di questa situazione? Quante previsioni si sono rivelate errate? Dieci, forse 15 anni fa, tutti pensavano che fosse finita l’epoca dei ricambisti. Oggi, le stesse voci di Cassandra, dicono che i grossisti arrivati al capolinea. Insomma, non abbiamo imparato nulla.
Se non c'è margine qualcuno “morirà” oppure il primo prenderà il posto del secondo: i grossisti diventeranno ricambisti e i ricambisti saranno grossisti.
Perché dovremmo essere intrappolati in queste denominazioni? Amiamo parlare di OES e IAM, ma sappiamo che il mercato è uno solo. Parliamo allo stesso modo della distribuzione, ma non è una domanda inutile? È ovvio che vincerà il più efficiente. La tecnologia gioca un ruolo, ma la cultura è più grande e più importante degli algoritmi, anche se a lungo andare la battaglia sarà decisa a favore di quest'ultima.
Quando in Germania Trost, Stahlgruber e altri avevano iniziato la loro offensiva di distribuzione diretta, tutti hanno parlato della fine dei ricambisti. La stessa cosa è successa nel Regno Unito con Euro Car Parts (LKQ). Ma è poi successo? No, assolutamente no.
Abbiamo avuto un spostamento dei ruoli, consegna diretta o indiretta, ci sono stati anche dei fallimenti e alcune aziende soffrono, ma soprattutto a causa delle loro ferite e delle loro difficoltà interne, come una gestione inefficiente, l’assenza di alleanze, mancanza delle competenze e delle persone giuste...
I gruppi non possono fermare lo sviluppo di una supply chain integrata e non possono parlare di networking se non sono in grado di abbracciare strutture di mercato essenziali e complementari. L'unica struttura che non può essere abbracciata da un gruppo è l'equivalente di Rhiag come parte di LKQ. Non perché fa un brutto lavoro o non è legittimato a esistere. Sarebbe ridicolo affermare qualcosa del genere. È solo che LKQ come società transnazionale di dimensioni enormi è qualcosa di più di un gruppo a sé stante e non ha bisogno di far parte di un gruppo e ottenere il suo supporto per esistere. Al contrario per sopravvivere bisogna “distruggere” gruppi e strutture come quelli tradizionali italiani.
Un tema molto sentito in questo periodo è l’avvento delle auto elettriche e di quelle a guida autonoma, come vedete l’evoluzione del mercato?
Non possiamo fermare gli sviluppi anche se c'è una grande discussione sulla sostenibilità dell'elettrificazione. La strada ormai è definita. Fino al 2030 “sopravviveremo”, ma normative più rigorose in materia di emissioni, minori costi della batteria e stazioni di ricarica ampiamente diffuse contribuiranno allo slancio dei veicoli ad alimentazione alternativa nei prossimi anni.
Pertanto, nel 2030, la quota di veicoli elettrificati potrebbe essere superiore al 50% delle nuove immatricolazioni. Una gran parte di questi mezzi saranno elettrici ibridi, il che significa che anche oltre il 2030 il motore a combustione interna rimarrà.
Ovviamente i ritmi di accettazione saranno più alti nelle strutture sviluppate e dense come le città con rigide normative sulle emissioni e incentivi per i consumatori (fiscali, privilegi speciali, prezzi dell'elettricità, ecc.). Le vendite, però, saranno più lente in provincia, nelle piccole città e nelle aree rurali con poche stazioni di ricarica e la necessità di coprire distanze maggiori a fronte di una autonomia limitata.
Tuttavia, tutto questo cambierà gradualmente man mano che la tecnologia avanza: i veicoli elettrificati guadagneranno sempre più quote di mercato rispetto a quelli tradizionali. Insomma, il futuro sembra elettrico, connesso e autonomo. Ci sarà spazio per l'aftermarket automobilistico tra 15-20 anni? Sì, ma sarà un settore in forte declino e fatto di servizi.