…e abbandona Fiat. I produttori italiani di componenti sono sempre meno legati al gruppo del Lingotto, e trainano la ripresa con l'export. Luci e ombre della componentistica in un'analisi della Camera di Commercio di Torino in collaborazione con Anfia.
I componentisti crescono e trainano la ripresa
Il primo dato importante da notare è che l'industria che produce i componenti per autovetture gode di buona salute sul territorio nazionale. La crescita di fatturato del 2010 (cui gli ultimi dati presentati si riferiscono) rispetto al 2009 è stata dell'11,1%, il che ha permesso di recuperare ben l'86% del fatturato del 2008, cioè del periodo pre-crisi. In totale, nel 2010, la stima del fatturato della fornitura di componenti è di oltre 42 miliardi di euro. Un valore assoluto che pone l'industria dei componenti tra i protagonisti industriali italiani e che vede, ancora una volta, il Piemonte tra i principali protagonisti (con quasi 23 miliardi di fatturato e una crescita pari al 16,4% rispetto al fatturato del 2009). Il dato relativo alla componentistica merita di essere analizzato da differenti punti di vista. In primo luogo, infatti, l'Italia ha segnato un decremento importante di auto assemblate rispetto al 2009 (-13,3% sempre secondo Anfia), mentre sono cresciuti in maniera sostanziosa i veicoli industriali prodotti (+21,3%) e, ancor di più, quelli commerciali leggeri (+49,3%). Ma se crollano le auto prodotte come è possibile che il fatturato della componentistica possa crescere? La risposta ufficiale è data dal commento ai dati dello studio, fatto proprio da Anfia: tale crescita sarebbe dovuta esclusivamente a un aumento dell'export, cosa sicuramente vera ma che, forse, da sola non basta a giustificare l'aumento a due cifre segnato dal fatturato dei componentisti. Iniziamo tuttavia ad analizzare proprio cifre e dati dell'export italiano nel mondo per capire, poi, se forse qualche altro fattore può aver influito su questa tendenza.
L'export che segue la Fiat
In una nazione in crisi di consumi, il fatturato lo si fa esportando. Di questo sono convinte le aziende del campione analizzato da STEP ricerche, o perlomeno il 73% delle aziende dichiara di dovere una parte del proprio fatturato a clienti all'estero, mentre quasi la metà degli esportatori del campione ha un fatturato che dipende per la metà o più da commesse oltre confine. A certificare la crescita anche in questo comparto ci pensa però l'ISTAT, secondo cui il valore delle esportazioni nel 2010 è pari a 16,4 miliardi di euro, segnando un +25% sul 2009. Un recupero, quello delle esportazioni, migliore rispetto alla crescita dell'intero comparto, tanto che il fatturato complessivo delle esportazioni si attesta attorno all'88% del valore precrisi. Ma dove esportano i componentisti italiani? I paesi europei che hanno un'importanza storica per produzione di vetture sul nostro continente, come Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, hanno perso, nel corso degli ultimi 10 anni, una grossa parte del peso nell'export delle nostre aziende (dal 55% del totale al 40% del 2010). Ma se l'Europa ha perso di importanza, quali sono i paesi che crescono? Secondo i dati dell'Osservatorio, a differenza di quanto si potrebbe pensare, i paesi in cui è aumentata la quota di componentistica italiana non sono America e Cina, bensì Turchia, Polonia, Brasile, Russia, Serbia e Repubblica Ceca, tutti paesi (a eccezione della Repubblica Ceca) accomunati dalla significativa presenza produttiva del Gruppo Fiat. Una piccola nota a parte la merita proprio il rapporto tra le aziende di componentistica italiane e il primo gruppo di produzione automobilistica del nostro paese, che nell'ultimo anno ha visto un ridimensionamento del peso di Fiat come cliente (se nel 2009 su 100 euro di ricavi oltre 63 erano dovuti a commesse del Lingotto, nel 2010 tale quota è scesa a 56 euro).
Non solo export
Ma se le aziende che hanno risposto all'Osservatorio di Anfia certificano l'importanza dell'export come volano di ripresa, non si può sottovalutare come la componentistica debba anche all'aftermarket una quota della propria ripresa. Benché tale dato non sia stato analizzato nello studio in oggetto, si può desumere che il settore della riparazione continui a rappresentare un’importante voce di bilancio delle aziende componentiste. Sempre secondo alcune stime elaborate da Anfia su dati ISTAT il gettito Iva relativo alla manutenzione, riparazione e acquisto di ricambi per i veicoli, in Italia è cresciuto del 3,3% nel 2010 rispetto al 2009 per un valore complessivo che viene stimato attorno a 10,6 miliardi di euro. Una crescita dovuta in parte al maggior costo della manutenzione, ma anche ai due effetti combinati di una crescita del circolante (+1,1%) associata alla maggiore vetustà dello stesso.
Nuove tecnologie per restare competitivi
Tornando all'analisi dei dati dell'Osservatorio, invece, emerge che le aziende italiane di componentistica dedicano una parte molto piccola del proprio fatturato alla ricerca e sviluppo (il 50% del campione investe più del 2% in tale attività), una leva competitiva poco incentivata nel nostro paese, mentre crescono le collaborazioni commerciali (il 20% del campione è coinvolto in tale attività) e produttive (18% del campione). A tenere banco tra i produttori di componenti italiani sono invece due altre parole fondamentali: qualità e flessibilità. Sono queste le due leve che, secondo la maggior parte degli intervistati, permettono alla componentistica italiana di rimanere competitiva nel mondo. Qualità, perché non si può prescindere da prodotti affidabili, sia in primo equipaggiamento sia in aftermarket, e flessibilità, cioè la capacità di produrre ciò che serve nel momento in cui serve. Proprio quest'ultima leva risulta particolarmente efficace in aftermarket, dove l'andamento della domanda subisce costanti variazioni a seguito delle politiche di prezzo decise dai vari componentisti e dalle case automobilistiche stesse.