Articoli | 07 September 2022 | Autore: Tommaso Caravani

Reinova: l’elettrificazione è una sfida per tutto il settore automotive

Mentre montano le polemiche sul progetto di elettrificazione delle auto voluto dalla Comunità Europea, abbiamo incontrato chi ha investito tutto su questa transizione, chiedendogli anche quali siano le opportunità per il mondo aftermarket.


Reinova nasce da una volontà: ero in una multinazionale austriaca del settore automotive (AVL), poi nel 2020 per motivi personali ho avuto la necessità di avere più tempo e così ho lasciato la realtà dove lavoravo senza un progetto preciso”. Ma si sa, per chi è stato dirigente ai massimi livelli di una multinazionale è difficile restare con le mani in mano, soprattutto quando si hanno molte idee e le capacità di metterle in pratica.

Nasce così l’idea di fondare una nuova realtà che cavalcasse l’onda della transizione energetica, poiché il tessuto industriale europeo fa ancora fatica ad accettare il fatto che il futuro sia elettrico, dunque ha bisogno di competenze in grado di accompagnare questa rivoluzione. Inizialmente, l’idea di Giuseppe Corcione, amministratore delegato e socio di Reinova, era quella di creare una realtà negli Stati Uniti, un paese molto aperto alle sfide e in cui è più semplice trovare capitali per partire, ma qui il manager ha quella che definisce una delle più grandi smentite ai suoi pregiudizi sul nostro Paese: “ho sempre immaginato l’Italia come un paese dove è difficile coinvolgere il mondo industriale su nuovi progetti e soprattutto una nazione sopraffatta dalla burocrazia; con il senno di poi, posso affermare che questi pregiudizi fossero infondati”.

Qualcosa di vero, però, anche nei pregiudizi deve esserci, almeno a giudicare da alcune affermazioni di Corcione, secondo cui “è la volontà a fare la differenza: si tratta di affrontare le problematiche con l’ottica di volerle risolvere”.
È da queste premesse, che a ottobre 2020 nasce l’idea di Reinova e che viene presentato, a una riunione dell’Unione Industriali di Reggio Emilia, il progetto di una realtà fortemente innovativa su cui investire. Una presentazione che porta a un primo team di investitori pronti a credere nel progetto e che, in un secondo momento, ha portato anche Intesa Sanpaolo a crederci.

Ma cosa fa Reinova? Sono quattro i pilastri su cui poggia il business dell’azienda reggiana: supporto alle aziende nel passaggio all’elettrificazione, connettività, certificazione di prodotto e sviluppo di nuovi prodotti elettrificati. Un ventaglio di offerte che fotografa la volontà di guidare questa trasformazione, in un momento storico in cui molte cose stanno cambiando.
Su questo la visione di Corcione è chiara: “il tempo e la velocità con cui vengono realizzati i nuovi prodotti non può più essere quello del passato, questo perché il ciclo dei prodotti elettrificati è molto più breve e ciò significa che se impieghi troppo a sviluppare qualcosa di nuovo, nel momento in cui esce rischia di essere già obsoleto”.

Inizia così la nostra chiacchierata con Giuseppe Corcione, amministratore delegato e socio fondatore di Reinova.
 
Parliamo di visione: l’elettrico sembra la direzione intrapresa dalla Comunità Europea per la mobilità, eppure molti sono scettici e non credono che questo passaggio sia possibile senza che molte aziende europee falliscano, qual’ è la visione di chi, invece, ha puntato tutto proprio sull’elettrificazione?
Su questo tema c’è molta confusione. Oggi ci troviamo in mezzo a uno di quegli incroci della storia che cambiano completamente le prospettive: da una parte stiamo assistendo a quella che probabilmente è la più grande rivoluzione industriale dalla fine dell’Ottocento; poi c’è una rivoluzione socioeconomica in atto, con nuove esigenze di mobilità, soprattutto nei grandi centri urbani; infine c’è una nuova attenzione all’ambiente.

Su quest’ultimo punto è necessario fare delle riflessioni aggiuntive: oggi il problema è che non siamo in grado di abbattere la C02 in atmosfera, oltre al fatto che l’utilizzo degli idrocarburi porta anche a molte altre emissioni gassose dannose, come gli NOx. Se ci si concentra solo su questo aspetto, la sfida è ridurre le emissioni laddove c’è la loro maggior concentrazione, e per farlo l’elettrico è la soluzione migliore. Questo perché i motori elettrici hanno un’efficienza che è superiore all’80%, mentre per i motori a combustione termica non si supera mai il 50% e addirittura, nel caso dei motori Diesel, resta su un misero 36%. E stiamo parlando del rendimento massimo teorico, cioè se il motore funzionasse sempre al massimo regime di coppia, cioè praticamente mai.

Se poi mi chiede se la risposta alla crescente domanda di energia sarà la batteria al litio, le risponderei che probabilmente sarà un mix di tecnologie a garantire il funzionamento di questi motori elettrici: dalle batterie allo stato solido fino all’idrogeno, utilizzato non per alimentare un motore ma una cella a combustibile in grado di generare corrente, senza dimenticare il crescente peso dei super condensatori, o supercap, su cui la ricerca si sta concentrando notevolmente e che promettono molto bene.
 
Ma se nel 2035 ci sarà il passaggio all’elettrico, l’industria della manutenzione dell’auto come dovrebbe convertirsi?
Ci sono diverse opportunità da qui al 2035, molte delle quali non sono neanche entrate nell’immaginario collettivo, ma per le quali tante aziende, come la nostra, stanno iniziando a valutare nuovi business. Per fare un esempio che possa essere calzante per il post-vendita, pensiamo già oggi al retrofit. Se, difatti, è vero che il divieto di vendita dei motori a combustione interna sarà nel 2035, è la stessa Commissione Europea a immaginarsi una sostituzione completa del circolante attorno al 2050. Circa 15 anni di transizione, durante i quali cosa ne sarà delle vecchie auto a combustione interna?

Non parlo solo del valore del mezzo, ma anche del suo utilizzo. Perché quello che è certo è che le amministrazioni continueranno a limitare la circolazione dei mezzi a combustione interna, specialmente nelle città, parallelamente la richiesta di carburante per autotrazione scenderà con l'aumento delle vendite del nuovo. Quindi, quello che prevediamo, è che per parecchio tempo ci sarà la necessità di “elettrificare” veicoli a combustione interna, non per circolare sempre, ma almeno quel tanto da garantire un’autonomia di 50 o 60 km per affrontare il traffico cittadino o aumentare l’autonomia del mezzo.

Porgo un altro esempio che faccia capire quanto sia importante in questo periodo spingere su formazione e informazione: se oggi capita un incidente con tre veicoli elettrici coinvolti su un’autostrada come l’autostrada del Brennero, che ha una circolazione molto pesante, specie dai paesi nordici dove l’auto elettrica è molto più diffusa, nessuno è in grado di intervenire, perché spostare un’auto elettrica richiede attrezzature e competenze differenti, che semplicemente sono carenti oggi in Italia.
 
Eppure, molti scettici pensano che siano proprio le infrastrutture di ricarica il problema maggiore, si riuscirà in meno di 15 anni a creare un’infrastruttura efficiente e capillare?
Questa argomentazione è una delle più classiche, ma non porta da nessuna parte. L'Italia è un Paese in cui sono presenti oltre 4 miliardi di prese a 220 Volt; quindi, probabilmente ciò che sarà necessario fare è una mappatura di tutti i punti di uscita e creare un’infrastruttura per cui ogni presa di corrente possa diventare potenzialmente un punto di ricarica.

Bisogna utilizzare quello che abbiamo, perché pensare che le cose accadano per magia è una strategia perdente; lo dimostra il fatto che esiste già una legge, ad oggi ancora disattesa (il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 n.d.r.), che prevede almeno una colonnina di ricarica ogni 1.000 abitanti.
 
Oggi molte realtà puntano sulla rigenerazione delle batterie e sulla strutturazione di una rete in grado di garantire la loro sostituzione; questo può essere un business per l’aftermarket di domani?
Personalmente penso di no. Questo perché, come dicevo nella premessa di questa chiacchierata, il ciclo di vita degli oggetti elettrificati è molto più breve di quello meccanico. Per fare un esempio in cui almeno le vecchie generazioni possano riconoscersi, basti pensare ai telefoni cellulari. Quando sono usciti i primi modelli avevano tutti una batteria sostituibile, esisteva anche un mercato di batterie “modificate”, in grado di ampliare l’autonomia del telefono costringendo la gente a girare con cellulari enormi. Oggi qualunque telefono ha la batteria integrata, perché si presuppone che il ciclo di vita di tutto il telefono sia inferiore a quello della sola batteria.

L’auto arriva in un momento in cui questo passaggio è già avvenuto e le auto del futuro dureranno molto meno di quelle attuali. Nessuno comprerà un’auto pensando di lasciarla al figlio, anche perché l'elettrificazione porta con sé molte conseguenze anche sul concetto di possesso del bene: cambieranno sia l’utilizzo sia l’abitudine degli automobilisti.

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Tags: auto elettriche Reinova

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