Al centro dell’agitata regione medio orientale, gli Emirati Arabi Uniti rappresentano oggi un mercato appetibile per il settore automotive, in particolare per il comparto dei ricambi e accessori destinati ai mezzi pesanti.
Il Medio Oriente è una regione sulla quale è difficile azzardare previsioni credibili. Ma è anche vero che il rischio è l’essenza dell’imprenditorialità. Vediamo perché in questo momento vale la pena interessarsi al promettente mercato degli Emirati Arabi Uniti.Sintesi economica e geo-politica: un Paese quasi normale
Nel panorama economico medio orientale e, in particolare, in quello dei Paesi Opec che sorgono nell’area del Golfo Persico, è regola quasi matematica essere del tutto dipendenti dagli introiti provenienti dall’esportazione di greggio. Purtroppo, per gran parte di queste economie, la così detta rendita petrolifera non è mai stata trasformata in misura adeguata in investimenti produttivi, al di fuori del settore idrocarburi; quando non viene del tutto consumata in spese militari, voluttuarie o semplici trasferimenti alle famiglie a fondo perduto. Con politiche “economiche” del genere è ovviamente impossibile ogni tipo di moderno decollo industriale. In questo orizzonte, gli Emirati Arabi Uniti (UAE) rappresentano, al contrario, una felice eccezione sotto diversi aspetti. Aspetti che contribuiscono non poco a fornire al giovane Paese rivierasco alcuni connotati addirittura di tipo occidentale.
Gli UAE si sono formati nel 1971 dall’unione degli Emirati di Abu Dhabi, Dubai, Shariah, Ajman, Umn al Qaiwan, Fujairah e Ras al Khaimah (aggiuntosi nel 1972). Abu Dhabi e Dubai sono di gran lunga le entità più importanti: da soli producono l’85% del Pnl. La popolazione è stimata attorno ai 3,5 milioni di persone ed è formata da numerose etnie. Gli autoctoni sono circa un quinto della popolazione; un altro quinto è formato da altri arabi e iraniani; il restante 60% da variegate popolazioni asiatiche, in gran parte lavoratori immigrati. Più omogeneo il panorama religioso: il 96% dei residenti è di confessione islamica (gli sciiti sono il 16%). Non all’altezza della ricchezza del Paese il livello di scolarizzazione: solo l’80% della popolazione sopra i 15 anni è alfabetizzata. Il sistema legale è diviso in due: i tribunali laici giudicano su questioni penali, civili e commerciali; quelli islamici su diritto di famiglia e dispute religiose. Non ci sono elezioni popolari.
Nonostante gli UAE possiedano riserve petrolifere per almeno 100 anni, si sono guardati bene dal sedersi sugli allori. Sin dal 1973 hanno implementato una politica di sviluppo economico alternativa al petrolio pur sfruttando, ovviamente, i vantaggi offerti dall’oro nero. Oggi meno di un quarto del Pnl dipende dalla produzione di greggio. Quota assai minore di quella che caratterizza altri stati dell’area: l’Arabia Saudita arriva ad esempio al 40%; il Kuwait al 50%. Grazie a politiche di sostegno all’occupazione, alla creazione di infrastrutture e al crescente coinvolgimento dei privati in economia, oggi gli Emirati vantano il reddito medio più elevato fra i Paesi Opec: 23.200 USD calcolati a parità di potere d’acquisto (ppa), contro gli 11.000 USDppa dell’Arabia Saudita, i 6.500 USDppa dell’Iran o i 9.000 USDppa della Libia. Notiamo che il reddito medio degli UAE è addirittura già confrontabile con quello italiano (25.100 USDppa). Finanziariamente si tratta di un’economia molto solida: il debito pubblico è del 18,1% del Pnl (Italia 106% nel 2003); il tasso di inflazione è di poco superiore al 3% e la disoccupazione è del 2,5%. Tre quarti della forza lavoro è di origine straniera. I maggiori partner commerciali sono di gran lunga Giappone, Europa, Cina, USA e Corea del Sud. Fra i Paesi dell’area solo l’Iran copre una posizione di rilievo, peraltro limitato, sul fronte delle esportazioni, assorbendo il 3,8% del totale. Le telecomunicazioni sono particolarmente sviluppate: nel 2003 risultavano negli UAE 1,13 milioni di telefoni fissi, 2,97 milioni di telefoni cellulari. Gran parte della rete è in fibra ottica ed è collegata ad avanzati sistemi satellitari. Cavi sottomarini collegano gli Emirati a Qatar, Bahrain, India e Pakistan. Sorgono innumerevoli compagnie radio televisive e si contano quasi 1,5 milioni di allacciamenti a internet. La rete viaria, portuale e aeroportuale è moderna e avanzata.
Analisi del parco automobilistico
La strategica posizione geografica degli UAE, situata proprio all’imbocco del Golfo Persico, il grado di sviluppo economico raggiunto e l’avanzata rete di infrastrutture e comunicazioni, contribuiscono a fare dello stato arabo un mercato e un operatore di primo piano del settore automobilistico e dei ricambi: tanto per quel che riguarda il ricco mercato interno, quanto come crocevia dei flussi commerciali fra Asia, Medio Oriente e Africa. Il mercato dei ricambi dell’area del Golfo è valutato attorno ai 12 miliardi di USD all’anno. Occorre considerare che, secondo l’Automotive Brand Protection Coalition Middle East, di cui fanno parte anche i più grandi costruttori auto, il 30% dei rivenditori e delle officine in Medio Oriente fa abituale uso o rivende ricambi contraffatti. La cifra perduta dall’industria regolare sarebbe di circa 100 milioni di USD/anno. Nella stessa area il numero di rivenditori di ricambi e le officine ha superato le 21.000 unità. Il parco circolante delle autovetture nei Paesi a reddito maggiore è ormai attorno ai 6 milioni di unità (Tab. 1) e, verosimilmente, si manterrà in crescita grazie ai redditi più elevati garantiti dagli alti prezzi del greggio (l’area copre il 45% dell’offerta petrolifera mondiale) e dai bassi prezzi locali dei carburanti. Il parco circolante dovrebbe salire, nel medio termine, del 4%-6% all’anno. Il 60% delle auto in circolazione nelle nazioni a maggiore potere d’acquisto del Golfo è costituito da autovetture, il resto da autocarri e autobus. Circa un quarto delle auto in circolazione ha un’età compresa fra 0 e 3 anni; analoga la quota di quelle fra i 3 ed i 6 anni. Attorno al 15% la fascia di anzianità di 6-9 anni e 9-12 anni. Quasi un quarto del circolante è più vecchio di 12 anni. Negli UAE il più alto reddito procapite rispetto ai Paesi limitrofi è riflesso nella diversa distribuzione delle quote nelle varie classi d’età della auto in circolazione (Tab. 1): percentuali maggiori della media fra 0 e 6 anni e assai minori per le auto più vecchie di 12 anni. Anche per quel che riguarda autocarri e autobus, si tratta in gran parte di mezzi nuovi, poichè quasi tre quarti hanno età inferiore ai 6 anni. Circa il 60% delle auto è di fabbricazione giapponese, tanto negli UAE quanto nei Paesi limitrofi. Il primo marchio occidentale è Chevrolet, con quote del 4,9% e 6,3% rispettivamente. Fra le Case europee, la più rappresentata è Mercedes, che copre il 6,3% in UAE e il 4,4% nella media dei Paesi arabi considerati.
La quota di BMW è il 3% negli Emirati e una media del 2,6% di tutta l’area. I costruttori europei sono dunque presenti quasi esclusivamente nel segmento delle auto di lusso, mentre in quelli più popolari i costruttori giapponesi dominano decisamente il mercato. Data la relativa sicurezza politica offerta dagli Emirati, in una regione spesso estremamente instabile, diverse compagnie dell’automotive hanno deciso saggiamente di installare qui i loro centri direzionali regionali.
Per quel che riguarda i mezzi pesanti e quelli da lavoro, è decisivo l’effetto traino esercitato su questo mercato dall’industria petrolifera locale. Che è di gran lunga la più importante del mondo e tale rimarrà, verosimilmente, fino alla fine dell’età del petrolio.
Il mercato dei ricambi
Il mercato dei ricambi negli UAE e negli stati limitrofi è ovviamente fortemente influenzato, oltre che dalla situazione economica, anche dalle particolari condizioni climatiche della penisola arabica. L’ambiente è anzitutto caratterizzato da elevate temperature e forti concentrazioni di polveri di sabbia. Ne consegue un’elevata domanda di condizionatori (soprattutto per quel che riguarda il commercio di veicoli usati) e filtri di tutti i generi. Ma anche sistemi frenanti e batterie stanno registrando crescite a due cifre. Secondo Mobis, sussidiaria Hyundai per il settore in questione, circa due terzi del mercato ricambi degli UAE è costituito dall’Aftermarket. Nei Paesi vicini le quote sono analoghe e, sicuramente, in Iran e Iraq dove i redditi sono assai inferiori rispetto a quelli degli altri Paesi del Golfo Persico, tale percentuale è anche maggiore.
Secondo l’Istituto del Commercio Estero, il totale dei flussi commerciali dei maggiori esportatori di ricambi autoveicoli (compresi quelli dei mezzi pesanti e a uso speciale) verso gli UAE sono quasi raddoppiati, fra il 2000 e il 2003, a 720 milioni di USD. Si stima che la metà o addirittura il 60% dell’import degli Emirati Arabi venga riesportata negli altri Paesi dell’area. La migliore performance è stata registrata (ovviamente anche in questo caso) dalla Cina, il cui flusso è salito di 4,6 volte a 60 milioni di USD, ossia l’8,3% delle esportazioni dei maggiori competitors. Ma la maggior quota di mercato rimane saldamente in mano al Giappone (28,5%) forte della preponderanza dei suoi prodotti sul circolante. Segue la Germania con 128 milioni di USD (17,8%) e la Corea del Sud con 91 milioni di USD (12,6%). L’Italia è quarta davanti alla Cina con 64 milioni di USD (8,9%). Dall’analisi di tali flussi appare comunque chiaro che i costruttori giapponesi subiscono una tenace concorrenza da parte del prodotto equivalente di altri Paesi, in quanto la loro porzione sulle esportazioni appare sostanzialmente la metà di quella detenuta nel circolante.
Anche se tale considerazione va in parte temperata, poichè diversi costruttori giapponesi hanno allestito numerosi centri ricambi in Europa, Asia e Medio Oriente. In ogni caso, la presenza di esportatori che non hanno importanti quote nel circolante auto degli Emirati, rimane assai elevata.
Uno di questi è l’Italia, per la quale le forniture relative ai mezzi pesanti, sostenuta come già ricordato dalla locale industria petrolifera, assume particolare rilievo (Tab. 3).
Dal 1996 al 2003 il flusso in valore delle nostre esportazioni di settore verso gli UAE è salito in continuazione, fino a triplicare a 55 milioni di euro. Sebbene i primi 11 mesi del 2004 anticipano su base annuale una flessione del 6% circa. Oltre l’86% dell’export italiano di ricambi e accessori è dedicato ai mezzi pesanti. Quote importanti anche per parti di motori Diesel (7,1%). Minore l’incidenza delle altre voci.
Automechanika Gulf
Il mercato locale e circostante degli UAE è talmente promettente che la fiera del ricambio, che si tiene annualmente nell’Emirato del Dubai presso il Dubai World Trade Center, raccoglie sempre maggiori aderenti e visitatori. Nel 2005 l’evento si è svolto alla fine di maggio su quasi 5.000mq di superficie. Nell’edizione precedente erano presenti 305 espositori da una trentina di Paesi, e 5.500 visitatori provenienti soprattutto dal Medio Oriente (87%), dall’Africa (5%) e dall’India (4%), che hanno potuto apprezzare i padiglioni relativi a componenti, ricambi, accessori e tuning, attrezzature per riparazioni e servizi automobilistici. È sicuramente l’evento più importante dell’automotive medio orientale. Si conferma un’efficace piattaforma per concludere affari nel cuore del più importante bacino petrolifero mondiale.
Conclusioni
Per ora gli UAE costituiscono una delle poche oasi tranquille nella tormentata regione del Medio Oriente, dove persino l’Arabia Saudita è fortemente scossa dall’integralismo religioso. Un’area nella quale il mercato dei ricambi, come quella di altri beni e servizi, è ben lontano dal suo livello potenziale. Soprattutto per cause politiche e religiose. Per questa zona è altresì difficile azzardare previsioni credibili. Pochi mesi prima della salita al potere degli Ajatollah, la Cia indicava l’Iran dello Scià quale “sicuro bastione” degli interessi occidentali nell’area del Golfo; e il Libano, prima della sua distruzione, era conosciuto da tutti come la “Svizzera del Medio Oriente”. In ogni caso il rischio è l’essenza dell’imprenditorialità. Bisogna verificare cosa si è disposti ad azzardare per concludere affari. Ma se c’è uno stato in Medio Oriente che, oltre a Israele, può salire sul treno della modernità, questi sono proprio gli Emirati Arabi. Negli anni ’90 l’ex ministro del petrolio saudita, Zaki Yamani, avvertì saggiamente le economie petrolifere ricordando loro che “l’età della pietra non è finita perchè sono finite le pietre”. Dunque l’era del petrolio potrebbe finire anche prima del suo esaurimento. Gli stati che puntano solo sull’oro nero rischiano dunque di tornare a una cupa povertà, se non si decideranno a investire la rendita petrolifera in progetti di sviluppo alternativi, possibilmente basati soprattutto sull’iniziativa privata. Gli UAE hanno messo in pratica tali raccomandazioni qualche decennio prima che Yamani le pronunciasse.