Mancano dati ufficiali, ma la presenza di tecnici sembra essere più che sufficiente per la domanda, eppure trovare strutture in grado di operare correttamente sugli impianti di climatizzazione è sempre più complicato. C’entrano le competenze, sicuramente, ma anche la difficoltà di un intervento spesso complesso.
Capire quanti tecnici autoriparatori siano effettivamente in grado di operare in maniera legale sugli impianti di climatizzazione auto è un esercizio che può portare alla pazzia. Anche solo avere un dato approssimativo sul numero di autoriparatori che hanno un patentino di abilitazione per lavorare sui gas fluorati è un esercizio sterile (alcune statistiche, che si rifanno a dati del Ministero, parlano di un numero che oscilla tra gli 80.000 e i 100.000 addetti: troppo alto per essere riferito al solo settore dell’autoriparazione).
In ogni caso non è l’abilitazione che manca. Neanche le stazioni di ricarica, perché rappresentano un importante fonte di guadagno per l’officina: in genere, con poche ricariche, l’investimento del macchinario si ripaga rapidamente, anche se le oscillazioni di prezzo dei gas refrigeranti non garantisce un margine stabile su ogni intervento.
La ricarica: il lavoro più bello
Le stazioni di ricarica, inoltre, sono ormai diventate dei veri e propri robot da officina. Se un tempo operare con rubinetti, bilance e manometri era un lavoro che richiedeva la presenza di un tecnico durante tutta la fase di ricarica dell’impianto, oggi, grazie all’integrazione con le banche date e alla computerizzazione delle attrezzature le stazioni di ricarica, sono praticamente completamente automatiche.Nei casi più estremi è sufficiente collegare la macchina all’impianto e selezionare tramite la diagnosi o la banca dati integrata (comunque aggiornata via internet); poi l’attrezzatura calcola la quantità di refrigerante necessario, svuota l’impianto, effettua le operazioni di lavaggio e ricicla la maggior parte del refrigerante aggiungendo la quantità mancante oltre al lubrificante. Il tutto mentre l’autoriparatore può dedicarsi ad altre attività.
Molte stazioni hanno poi anche integrate vere e proprie diagnosi degli impianti e, grazie a test di tenuta, riescono anche a capire se l’impianto ha dei malfunzionamenti.
E proprio su questo punto nasce il più grande problema della manutenzione degli impianti A/C.
La riparazione: quello più brutto e meno pagato
Se infatti la ricarica va a buon fine e l’impianto è sano, la ricarica è sicuramente un ottimo business per l’officina (anche se la concorrenza è aumentata nel tempo, perché proprio grazie alla semplicità del lavoro oggi il servizio è offerto anche da dealer, benzinai, gommisti e chi più ne ha più metta).Il problema è che teoricamente l’impianto A/C è un sistema chiuso, questo significa che il gas non dovrebbe ridursi nel tempo, perché durante il suo ciclo, semplicemente non si consuma. Siccome però anche l’impianto più stagno ha delle microperdite, teoricamente può scendere di livello durante il tempo, ma il problema è che le case automobilistiche progettano questi impianti perché durino più della vita utile della vettura stessa.
Se quindi l’impianto si è “scaricato” vuol dire che da qualche parte c’è una perdita. Il problema a questo punto è che l’indagine dell’impianto richiede comunque del tempo e non sempre è banale. Le perdite, infatti, possono essere dovute a valvole che non tengono, a giunture che a seguito di colpi si sono allentate, oppure a guarnizione all’interno del compressore o dell’evaporatore che non tengono più.
Indagare e trovare la perdita è insomma un lavoro complesso e, nonostante l’ausilio di numerosi strumenti a disposizione del riparatore (dai traccianti UV ai “nasi” elettronici), l’indagine della perdita risulta spesso onerosa in termini di tempo e difficilmente “rivendibile” al giusto prezzo al cliente finale.
Inoltre, l’impianto A/C è orami universalmente gestito elettronicamente dell’auto, quindi un suo malfunzionamento può non essere dovuto a problemi di natura meccanica o fluidodinamica, rendendo ancora più complesso indagare l’eventuale malfunzionamento.
Il risultato è che sempre meno strutture riparative si occupano in maniera esaustiva dei problemi legati alla climatizzazione di bordo e sempre più si orientano verso il solo servizio di ricarica.
Specializzarsi o delegare le due vie della climatizzazione
E quindi la scelta che ogni autoriparatore dovrebbe fare, in maniera consapevole, è decidere cosa fare nel prossimo futuro. Dall’entrata in vigore del HFO-1234yf, infatti, a parte il costo del refrigerante, non è cambiato molto a livello tecnico (anche in questo caso i numeri sono davvero scarsi, ma facendo un’analisi spannometrica sull’immatricolato ad oggi solo tra il 10 e il 15% delle auto circolanti dovrebbe avere il nuovo gas), quello che è cambiato e cambierà sempre più è la struttura degli impianti A/C.Bisogna tenere in considerazione almeno due macro tendenze: da un parte l’entrata sempre più massiccia sul mercato di auto provenienti dall’Oriente, dove generalmente le informazioni tecniche e gli schemi di funzionamento sono molto scarsi e quindi anche sull’impianto A/C sono carenti.
Dall’altra parte, anche l’entrata sul mercato di un sempre maggiore numero di auto ibride (già oggi) ed elettriche (forse domani), con tutte le conseguenze che si porteranno dietro in termini di modifiche all’impianto: dal compressore elettrico fino a una ricerca sempre più estrema di rendere più efficiente il sistema per preservare le batterie, senza contare che, con le auto elettriche, probabilmente, sarà proprio l’impianto A/C ad avere il compito di raffreddare anche le batterie.
Quello che si può fare, quindi, è scegliere se dedicare persone e tempo a specializzarsi in questa attività, chiedendo il giusto compenso e lavorando anche per i propri colleghi, oppure decidere di mantenere solo il business della ricarica e delegare a colleghi più esperti problemi più complessi.
Il futuro insomma rischia di vedere sempre più un ritorno alle specializzazioni dopo anni di contrazione delle competenze.