Articoli | 11 September 2024 | Autore: David Giardino e Tommaso Caravani

​CRF: il ricambio originale è un ottimo business, se sai come farlo

Aurelio Pagani, AD di CRF, ci racconta come è nata e cresciuta CRF, uno dei principali attori nella commercializzazione di ricambi originali, e preannuncia due grandi novità: un’apertura ai ricambi aftermarket e l’ipotesi di future acquisizioni.


Aurelio Pagani è un manager di esperienza nel mondo del ricambio auto. Nato nella logistica distributiva e cresciuto in Fiat, dal 2011 guida la crescita di un gruppo che in poco più di un decennio è diventato il principale distributore di ricambi originali del paese, con una strategia molto aggressiva e piena di rischi.
 
Se il mondo del ricambio originale, infatti, è generalmente focalizzato sul concessionario e sul riparatore autorizzato, CRF (e prima attraverso le società CER, Centro Europeo Ricambi, e DL Ricambi) ha da subito puntato sulle carrozzerie. Una scelta rischiosa, perché le carrozzerie richiedono assistenza e un’attività di consulenza più spinta, che però negli anni sembra aver pagato.
 
Oggi l’azienda ha probabilmente raggiunto un punto di equilibrio e per questo guarda a nuove opportunità di crescita, anche perché il ruolo del distributore di ricambi originali è da sempre schiacciato tra le esigenze delle case auto e quelle del mercato… 

Essere placca vuol dire stare in un mondo di mezzo: da una parte le case auto, dall’altra i clienti; come si fa mantenere un equilibrio e riuscire a guadagnare?
In realtà, se guardiamo alle placche, siamo 28 strutture che fanno mestieri differenti per una serie di ragioni. Ognuno ha trovato la sua strada. Per quanto ci riguarda, noi storicamente abbiamo sempre puntato sul mercato delle carrozzerie, che sicuramente è un settore complesso per quanto riguarda sia l’organizzazione sia la gestione.
 
Oggi abbiamo 20 persone qui più altre otto in un altro sito che gestiscono ordini e preventivi per le carrozzerie, perché il carrozziere è quel tipo di utente che ha ancora bisogno del supporto tecnico. Aggiungo per fortuna, perché questo è un pezzo del servizio, assieme alla logistica, che il mercato ci riconosce e ci paga. 
Allo stesso modo ci riconoscono l’assortimento, perché la carrozzeria richiede molti codici, difficili da stoccare, e che presentano un rischio molto maggiore di altri ricambi, ad esempio quelli dedicati alla meccanica, sia in termini di volumi sia di eventuali danni. 

Questo perché i ricambi di carrozzeria sono molto più difficili da maneggiare e il rischio di fare un danno è sempre dietro l’angolo. Per dare un’idea di cosa stiamo parlando a chi non conosce la materia, noi abbiamo circa 30mila euro di danni al mese, che vuol dire circa 300.000 euro all’anno. Una parte di questi ricambi danneggiati finiscono venduti sottocosto se ancora vendibili, e una parte va nelle obsolescenze, perché l’altra cosa da ricordare è che un ricambio ha un suo tempo di vita, oltre il quale non vale più niente e diventa un rottame.

Negli ultimi anni, grazie a questa politica, siete molto cresciuti; oggi in che zone d’Italia operate?
Dobbiamo fare una distinzione, perché effettivamente abbiamo tipologie di clienti differenti. Se parliamo di autoriparatori, quindi carrozzerie e officine, oggi riusciamo a servire direttamente clienti in Piemonte, Lombardia, Liguria, Valle d’Aosta, e nelle province di Piacenza, Parma e Verona. Se invece guardiamo al canale dei negozi di ricambi, dove abbiamo circa 650 clienti, ovviamente arriviamo in tutta Italia. Allo stesso modo lavoriamo su tutta la penisola con quei clienti più “istituzionali”, come il noleggio a lungo termine e le compagnie di assicurazioni. 

Uno dei vostri soci è proprio una compagnia di assicurazione, questo ha portato dei vantaggi in questo tipo di relazioni?
In realtà non direttamente, Nobis è una realtà completamente autonoma e tendenzialmente ha un metodo di lavoro che non prevede figure come la nostra. Lavoriamo molto con il gruppo Unipol e altre realtà assicurative, che magari non sono di primo livello, ma sono comunque attori importanti del mercato italiano.
 
Nel mondo del noleggio, invece, lavoriamo principalmente con Arval, ma in questo caso anche perché Intergea, società a capo del gruppo, ha molti asset proprio nelle attività del gruppo Arval. 

Come è divisa la vostra torta di fatturato?
Diciamo che il nostro fatturato è fatto al 75% dagli autoriparatori, mentre il restante da società di noleggio e assicurazioni. A sua volta, il 75% del fatturato degli autoriparatori è composto per la metà, in termini di volumi, dagli autorizzati, contando assieme sia i concessionari sia gli autoriparatori autorizzati, quindi con un brand di casa auto esposto.
L’altra metà, invece, da carrozzerie e officine indipendenti, per circa 30 milioni di fatturato. Una cifra che è frutto di una presenza territoriale importante, tanto che oggi serviamo circa un migliaio di carrozzerie.

Le case auto hanno sempre guardato male al ricambio aftermarket, secondo lei è cambiato qualcosa?
Non credo, però, se guardiamo al ricambio, oggi dobbiamo per forza di cose considerare i prezzi. Per molto tempo le case automobilistiche hanno posto molta attenzione a gestire i listini in modo che, per un produttore di ricambi aftermarket, fosse difficile investire in uno stampo per arrivare a coprirne i costi con le vendite. 
In sostanza, un prezzo dell’originale accessibile, ha garantito all’originale poca concorrenza. Però, negli ultimi quattro anni, i listini degli originali sono molto aumentati e questo ha fatto sì che anche gli indipendenti siano diventati competitivi nella produzione.
 
Poi certo, l’aftermarket non potrà mai chiudere una riparazione in maniera completa e se pensiamo al solo paraurti anteriore, che è il ricambio più venduto, per noi rappresenta il 3% del nostro fatturato. 
Stesso discorso vale per i proiettori, perché ormai per ogni proiettore esiste un ricambio alternativo “originale”, cioè realizzato dallo stesso produttore di primo impianto, che magari, in alcuni casi, non ha il logo della casa auto, ma è posizionato come prezzo al di sotto dell’originale di circa il 50%.

Come valutate l’arrivo delle vetture elettriche?
Molto bene per noi. Battute a parte, faccio una considerazione personale. Io vivo in Svizzera e lì tutte le compagnie hanno aumentato i premi delle assicurazioni per le vetture full electric del 40% dal 1 gennaio 2024, perché le auto elettriche hanno una frequenza dell’urto anteriore che è esattamente di cinque volte maggiore di quella di una vettura tradizionale e loro hanno un circolante elettrico che è il 15% del totale, quindi un’ottima campionatura.

Rimane il fatto che, almeno secondo alcuni dati assicurativi che abbiamo il vantaggio di conoscere direttamente, i sinistri diminuiscono, non in maniera drammatica, perché dal 2019 si è passati dal 6,2% al 5,9% di frequenza, quindi parliamo di 0,3 punti percentuali; tuttavia si tratta di un andamento costante. 
In media l’incidenza di sinistri scende dello 0,1% l’anno. Per fortuna questo calo è ampiamente bilanciato dal valore dei ricambi. 

Voi come placca siete principalmente rivenditori Stellantis, come gestite gli altri brand e avete mai pensato all’aftermarket?
Al 70% vendiamo Stellantis, il resto sono gli altri brand che trattiamo: Hyunday, Kia, Toyota, Lexus, Land Rover, Jaguar, Honda, Renault, Nissan, Dacia, MG e molti altri. 
Per quanto riguarda l’aftermarket tocca fare un discorso a parte. Per noi, il nostro mestiere è quello di servire le carrozzerie, anche se gli autorizzati e i dealer sono importanti, il nostro focus rimane la carrozzeria. Questo perché il mondo della carrozzeria è molto più complicato, ma ci permette di fare un margine differente. Noi lo scorso anno, e lo dico con un certo orgoglio, abbiamo fatto un EBITDA che è pari alla somma di quello realizzato da tutte le altre placche messe insieme.
 
Noi non abbiamo mai, per scelta, trattato il prodotto aftermarket, più che altro perché credo sia un altro mestiere. Però la realtà è che la scelta che hanno fatto tutte le case sui listini credo sia poco lungimirante. Certo, nel breve ha portato grandi vantaggi, ma oggi sta creando problemi strutturali importanti. Anche perché alcune compagnie di noleggio, che in passato avevano provato a gestire l’aftermaket, erano poi tornate indietro per semplicità gestionale. 
Oggi, per il differenziale di prezzo, stanno tutte ripensando a inserire i ricambi aftermaket in maniera importante e sicuramente ci arriveranno anche le compagnie; senza contare che per le carrozzerie è diventato fondamentale per evitare l’antieconomicità di alcune riparazioni.

Quindi per noi è diventato evidente che dovremo pensare a inserire questo tipo di ricambio per venire incontro alle richieste del mercato
Di sicuro non lo faremo mai sulla meccanica, perché i valori unitari sono troppo bassi e per strutture come la nostra, con processi così tirati, non ci permetterebbero di stare in piedi; ma nella carrozzeria stiamo analizzando se inserire qualche linea aftermarket, partendo dal nostro punto di forza, cioè che siamo gli unici che possono fornire tutto e per me è più semplice andare a completare alcune linee di prodotti con una linea economica, rispetto che il contrario.

Siete molto bravi a fare cosa?
A fare il nostro mestiere, che è servire l’autoriparatore, che non vuol dire solo logistica, ma soprattutto supporto tecnico commerciale. 
La nostra attenzione è sempre su due livelli: processi efficaci, perché deve funzionare tutto bene dal lato order processing, e processi efficienti, perché il tutto deve essere sostenibile economicamente e redditizio. Io credo che da 20 anni ci siamo dimenticati la produttività in Italia, cioè il fatturato per dipendente, ma ancora più l’utile, soprattutto per aziende capital intensive come la nostra.
 
Noi investiamo molto sui sistemi informativi ed è un campo che richiede davvero molte risorse. Questo perché prima ci facciamo un’idea del processo, poi progettiamo lo strumento, cioè il software, ma solo quando passiamo alla fase di test operativo possiamo capire se lo strumento è adeguato e capita spesso di dover apportare modifiche importanti o comunque tornare indietro e ricominciare. 
Allo stesso modo, oggi servono risorse per crescere in maniera non necessariamente organica, quindi attraverso acquisizioni.

Quando siete partiti difficilmente i concessionari investivano sul ricambio, come avete deciso di puntare su questo settore?
In realtà non è stato semplice partire. La storia è un po’ differente. Quando sono arrivato in Intergea, a fine 2011 inizio 2012, a Torino c’erano i primi cinque clienti di Fiat in Italia per la parte ricambi. Quindi non era un mercato né semplice né poco concorrenziato, Ognuno di questi cinque lavorava in maniera differente, l’idea di puntare tanto sui processi e tantissimo sulla competenza professionale del personale interno è stata vincente.
 
Posso affermare che le 26 persone che abbiamo in azienda dedicate alla consulenza alle carrozzerie sono i migliori professionisti che ci sono oggi in Italia. E CRF è stata la prima realtà a puntare su questo.
Poi un paio di competitor sono mancati, e altri hanno deciso di unirsi al progetto Intergea. Grazie a questa attività siamo arrivati alla nascita delle placche di FCA come primo operatore, tanto che nel 2015 eravamo preoccupati perché la maggior parte del nostro fatturato era FCA. Così decidemmo di differenziare la nostra offerta e quasi a farlo apposta puntammo, come alternativa, proprio su PSA. 

Una scelta che all’epoca ci sembrò perfetta, tanto che nel 2019 festeggiammo il fatto che la quota di FCA era scesa sotto al 50% del nostro business. Poi è successo quello che è successo e il gruppo Stellantis è tornato a essere predominante nel nostro fatturato, ma per noi si è trattato di uno stimolo importante a rimetterci in gioco e differenziare nuovamente.

E come mai il premium brand non è mai trattato da realtà come la vostra?
Ci sono alcune case che hanno capito e hanno interiorizzato il fatto che le logiche di mercato per vendere vetture nuove, assisterle o vendere ricambi non possono essere le stesse e avere gli stessi attori. Anche solo come copertura territoriale. Magari ne puoi azzeccare una, ma gli altri business saranno per forza sbilanciati, o in eccesso o in difetto. Si tratta di essere pragmatici. 
Detto questo, non penso che i premium brand non lo siano, semplicemente hanno rinunciato consapevolmente a essere efficienti in alcune aree, per garantire un’area di maggiore redditività alla propria rete distributiva.
 
Il ricambio ha una funzione che permette di mantenere la redditività al dealer. Mentre i produttori di segmenti bassi devono per forza avere redditività anche dai business correlati al prodotto auto, i premium brand probabilmente guadagnano ancora con la vendita del nuovo, quindi possono permettersi di perdere una parte di margine a favore della propria rete distributiva.

Il futuro di CRF?
Faccio fatica a fare programmi oltre i tre mesi, di sicuro un obiettivo della capogruppo che abbiamo raggiunto nel 2023, con un anno di anticipo sul piano strategico, è che abbiamo superato il miliardo di fatturato. Da qui al 2028 dobbiamo raddoppiare il fatturato, quindi noi sappiamo che il nostro “compitino” è quello di raddoppiare il fatturato di CRF, anche rinunciando a un pizzico di redditività che, per dare qualche numero, nel 2023 è stata attorno al 14% come EBITDA.

Ovviamente questo vuol dire anche acquisizioni, che non è detto che saranno solo in Italia, ma stiamo valutando anche di crescere al di fuori del nostro paese.


Dida
Aurelio Pagani, amministratore delegato di CRF.

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