Continuamo qui lo scambio di opinioni con nove importanti distributori indipendenti, iniziato sullo scorso numero di Notiziario Motoristico. In particolare viene affrontata la questione del “caro euro” e delle sue ripercussioni sulle spese auto.
Continuamo qui lo scambio di opinioni con nove importanti distributori indipendenti iniziato lo scorso numero di Notiziario Motoristico, relativo alle trasformazioni del mercato dei ricambi.Secondo Aci, la spesa d’esercizio reale delle autovetture in Italia è leggermente salita: da 71,7 miliardi di euro nel 2000 a 71,9 miliardi di euro nel 2002. Ma le spese per manutenzione e riparazione del mezzo sono scese, nello stesso periodo, da 12,1 miliardi di euro a 11,3 miliardi di euro: una perdita secca di oltre il 6,6% in due anni. Il rinnovo del parco circolante ha inevitabilmente comportato la diminuzione delle riparazioni. Credete che questa forte controtendenza vada fatta risalire anche ad altri fattori? Se sì, quali?
Amura: Al rinnovo del parco circolante aggiungerei l’avvento dell’euro che, piaccia oppure no, ha ridotto il potere di spesa del consumatore.
Baruffaldi: Oltre alla rottamazione, sulla stagnazione del nostro settore contribuisce notevolmente il calo della fiducia del consumatore a livello generale e la conseguente scarsa attitudine a spendere.
Bruni: La differenza del periodo specifico del 6,6% è stata pesantemente influenzata dagli incentivi passati. Ma non credo che tale calo verrà confermato in futuro. D’ora in poi, dato che le auto nuove contengono molti più “congegni” di quelle vecchie, le probabilità di malfunzionamento sono moltiplicate rispetto a prima.
Cancelli: Il ringiovanimento del parco circolante è sicuramente una delle cause, ma sono diminuiti anche i prezzi dei ricambi e delle riparazioni. In generale, è anche aumentata l’affidabilità del ricambio stesso.
Corona: Con l’avvento dell’euro, alla fine del mese lo stipendio non basta e quindi l’automobilista cerca di risparmiare.
Mazza: Dal 1994 in avanti, le auto nuove hanno avuto bisogno di meno ricambi. Questa è la ragione fondamentale del declino.
Negrini: Questa controtendenza è parzialmente dovuta al calo del potere d’acquisto da parte dei lavoratori dipendenti.
Scammacca: Per effetto delle nuove tecnologie applicate e del prolungamento dei tempi della garanzia, manutenzioni e riparazioni si sono spostate nei canali autorizzati delle case auto. Tutto ciò, nonostante il continuo aumento delle immatricolazioni, fa emergere un’apparente diminuzione della domanda. La progressiva scadenza delle garanzie e l’alternativa offerta dalla normativa Monti dovrebbero consentire di invertire la tendenza negativa che ha penalizzato tutti gli operatori indipendenti.
Vicini: La causa principale rimane il parco circolante rinnovato. Ma ci sono altri fattori che portano il consumatore a preferire l’acquisto di nuovi beni, piuttosto che la manutenzione (basti vedere cosa accade con i cellulari, l’abbigliamento, eccetera). In generale, è cambiato l’atteggiamento verso il bene “auto”, non più status symbol ma mezzo di mobilità, per andare in vacanza, al lavoro, per il tempo libero... Tramonta il culto dell’auto come bene immagine e conseguentemente anche la necessità di essere proprietari di automobile decade lentamente (sempre di più crescono le forme di noleggio dell’auto, si va verso l’ acquisto di chilometraggio come in altri Paesi: vedi Usa , Francia, Germania).
Il rincaro di spese assicurative, tasse e carburanti, ossia la parte non comprimibile dei costi per l’auto, ha avuto effetti negativi sulla propensione a manutenzione e riparazione, soprattutto per i redditi medio/bassi?
Amura: Anche questo ha contribuito.
Baruffaldi: Indubbiamente, anche se non in modo determinante.
Bruni: Certamente, ma non solo per i redditi medio/bassi. Anche per quelli più elevati. La manutenzione non indispensabile viene sicuramente sacrificata da tutti.
Cancelli: L’aumento dei costi della famiglia, in generale, ha compresso anche le spese per l’auto.
Corona: Ovviamente questi aumenti hanno influenzato la riduzione della spesa per l’auto.
Mazza: No. Non andiamo mai in officina per divertimento. Ci si va quando se ne ha bisogno. Il punto è che oggi le macchine hanno meno bisogno di manutenzione. Il nuovo multijet Fiat, ad esempio, è testato per 250.000m...
Negrini: Ci colleghiamo alla risposta precedente.
Scammacca: Non risulta che l’automobilista italiano abbia compresso le spese di manutenzione e riparazione a causa delle altre spese che gravano sull’auto.
Vicini: Sì, sicuramente. Per questo potrebbero avere successo sempre di più le forme di noleggio a lungo termine, perché la spesa nell’anno rimane fissa e copre tutte le spese accessorie soggette a notevoli variazioni. Questo a patto che ci sia un’offerta adeguata alle capacità di spesa del consumatore.
Nel 2002 le marche nazionali rappresentavano oltre il 47% del circolante, mentre sul fronte delle immatricolazioni la quota del raggruppamento scende appena sopra il 28% nella prima metà del 2003. Il circolante di autovetture a benzina era del 78,4%; oggi il mercato è diviso quasi equamente fra Diesel e benzina. Evidentemente, la struttura del parco circolante sta subendo cambiamenti piuttosto rapidi.
Come state reagendo voi, distributori indipendenti, a questi importanti cambiamenti?
Amura: È da qualche anno che il parco circolante registra un declino dei brand nazionali. Più o meno tutti gli operatori hanno reagito allo stesso modo, ovvero con l’aumento orizzontale dei codici a magazzino. Lo stesso ricambista ha metabolizzato questo fenomeno e predilige acquistare gamma piuttosto che quantità per singoli codici.
Baruffaldi: Noi seguiamo la domanda del nostro cliente e conseguentemente del mercato. Siamo, inoltre, costantemente proiettati alla ricerca di “bolle speculative” e/o famiglie di prodotti in espansione, da “spingere” a discapito di altre famiglie in contrazione. Per quanto riguarda la polverizzazione dei modelli in circolazione e il declino del segmento rappresentato dalle marche nazionali, siamo in presenza di un fenomeno già metabolizzato da almeno sei-sette anni, gli effetti del quale si sono già manifestati su tutta la filiera con un aumento orizzontale dei codici in magazzino.
Bruni: L’estrema differenziazione che si sta delineando del nostro parco circolante richiederà uno sforzo spaventoso, che non è alla portata di nessuna grossa organizzazione, ma a quella di tante organizzazioni coordinate allo scopo di garantire il servizio.
Cancelli: L’aumento del fatturato del gruppo Giadi è riconducibile proprio alla frammentazione del circolante, che ha permesso ai singoli distributori di aumentare i prodotti presenti nei magazzini, fornendo ai propri clienti la gamma completa degli stessi.
Corona: Seguendo l’evoluzione del circolante, mantenendo la gamma disponibile nel nostro magazzino ed effettuando consegne più celeri. Va in questa direzione l’apertura della nostra filiale di Palermo.
Mazza: Noi eravamo già pronti da un pezzo. Qualche dispiacere può venire dalla diminuzione della manutenzione necessaria ai motori Diesel...
Negrini: La nostra società sta intraprendendo una politica di ampliamento delle linee di ricambi, estendendosi anche al comparto della meccanica per poter meglio soddisfare la clientela.
Scammacca: La trasformazione del parco circolante ha determinato la necessità di acquisire nuove linee di prodotti sinergicamente affini a quelle già distribuite. I conseguenti onerosi investimenti hanno consentito di mantenere inalterati i fatturati, nonostante il complessivo calo dei volumi. La trasformazione del parco circolante è un aspetto positivo del mercato, perché amplia e diversifica la richiesta dei ricambi.
Vicini: Questo è un problema per noi distributori, perché ci porta a cambiare l’assortimento e la tipologia di ricambio trattato in brevissimo tempo, con il rischio di avere notevoli quantità di merci invendute. La varietà del parco circolante italiano è elevata, come la sua capacità di mutarsi in breve tempo: ogni due anni o anche meno. L’unica soluzione a questo problema è inserire nei contratti di distribuzione stipulati con i fornitori di componenti clausole di riaggiustamento dello stock e di pulizia dello stesso, che non sempre sono visti di buon grado.
Col passaggio all’euro molti italiani si sentono, a torto o ragione, più poveri. Alcune associazioni di consumatori sostengono che il potere d’acquisto degli stipendi degli impiegati avrebbe perso oltre il 10% negli ultimi tre anni. Dando per scontato questo fatto (che l’Istat contesta), come credete che ciò possa incidere nel nostro settore: rimandando l’acquisto dell’auto nuova (in effetti, per Aci il circolante con oltre 20 anni d’età è salito dal 7,9% del 1998 all’8,8% del 2002), aumentando dunque lo spazio per manutenzioni e riparazioni, risparmiando anche sulle riparazioni, limitandosi a quelle strettamente necessarie, o cos’altro ancora?
Amura: L’euro ha ridotto di fatto il potere di spesa del consumatore. Questa realtà condiziona tutti i settori, compreso il nostro. La conseguenza, per il consumatore a basso/medio reddito, è “non spendo se non è proprio necessario”. Indipendentemente dal fatto che la decisione da prendere riguardi l’acquisto di una vettura nuova oppure un intervento di riparazione.
Baruffaldi: Anche l’Istat ha riconosciuto, in un suo comunicato diffuso lo scorso ottobre, che la “percezione” della svalutazione da parte del consumatore ha un tasso superiore al 6%. In realtà il consumatore la ritiene ancora più elevata, probabilmente è corretta l’indicazione di una percezione superiore al 10%. Tuttavia, il settore automobilistico non ha al momento registrato grossi processi inflattivi, perlomeno non sono aumentati i listini dei pezzi di ricambio, oltre al tasso ufficiale di inflazione. Non è vero, tuttavia, che la contrazione delle nuove immatricolazioni si traduca automaticamente nell’aumento delle riparazioni. Il consumatore cerca di non spendere e basta: non compera auto nuove e non ripara le vecchie se non è strettamente indispensabile.
Bruni: Occorre tener conto delle generazioni tecnologiche: le auto costruite dopo il 1995 hanno catalizzatore, aria condizionata, airbag, eccetera, ossia tutto ciò che occorre per poter garantire loro una vita economica utile. Sono macchine fatte per durare, alle quali occorrerà una lunga manutenzione.
È ovviamente più facile che le auto più vecchie vengano sostituite.
Cancelli: Oggi ci sono condizioni commerciali tali che anche il consumatore con un reddito medio basso può comprarsi un veicolo nuovo e viceversa vengono effettuate riparazioni al minimo indispensabile.
Corona: Non credo che l’aumento del circolante di oltre 20 anni d’età sia un segnale. Chi possiede una vecchia Fiat 500, o vetture simili, se la tiene ma fa pochi chilometri.
Mazza: Dalle nostre parti le manutenzioni si fanno quando ce n’è bisogno. Al massimo si chiede credito al meccanico, se ci sono difficoltà. Vero è che questo meccanismo, alla fine, si riflette anche su di noi.
Negrini: Limitandosi alle spese strettamente necessarie.
Scammacca: Il calo delle immatricolazioni aumenterà senz’altro lo spazio per le manutenzioni e le riparazioni. Tuttavia, se tale opportunità non sarà tempestivamente utilizzata dagli operatori indipendenti, si rischia di favorire definitivamente i canali autorizzati dalle Case.
Vicini: Le fasce di reddito medio/basse risentono dell’effetto inflazione (decisamente più alto di quello evidenziato dall’Istat) e la manutenzione è ridotta all’osso, alcune volte a scapito della qualità dei ricambi installati, della prestazione di manodopera o, ancora più grave, a scapito dell’efficienza del veicolo e della sua sicurezza.
La grande distribuzione organizzata sta spingendo anche in Italia per gestire direttamente l’erogazione carburanti. Tutti sanno che tipo di traino sia il carburante anche su accessori e ricambi auto. Soprattutto se l’ipermercato gestisce un’officina alla quale il consumatore può rivolgersi per il montaggio di ricambi e accessori. Pensate che il fenomeno possa svilupparsi anche in Italia, come è già accaduto in Francia? Se sì, quali danni può provocare l’ipermercato al distributore indipendente di ricambi? Quali le eventuali strategie di risposta: concorrenza o collusione?
Amura: Sono anni che la GDO, soprattutto nel Nord Italia, tenta di proporsi nella vendita dei ricambi auto e i risultati non mi sembrano particolarmente brillanti. Il “fai da te” non può attecchire proprio nel momento in cui si prospetta nell’auto una crescente presenza di elettronica e di sistemi che renderanno l’intervento riparativo sempre più complesso. L’attività di un’officina collegata all’ipermercato è forzatamente limitata ad una serie di componenti, generalmente si tratta di pneumatici e accessori.
Baruffaldi: In Francia il costo del carburante senza brand venduto presso gli ipermercati è sicuramente posizionato al livello di prezzo-civetta. Non mi sembra, tuttavia, che nel mercato francese sia presente una grossa fetta di “do it yourself”, anche se è vero che la riparazione auto è canalizzata su strutture e network, in certi casi affiancate ai vari ipermercati. In Italia la situazione è ancora più difficile che in Francia, perché mancano i grandi network di officine fast-fit. L’attuale vendita di prodotti per l’auto nella GDO, inoltre, riguarda prevalentemente prodotti chimici e accessori. Le officine collegate agli ipermercati, in Italia, sono per lo più gommisti.
Bruni: A mio avviso la GDO può dare fastidio, ma non possiamo farci nulla. Dobbiamo gestire il fenomeno. Vale sempre la regola: se non puoi battere il nemico, alleati con lui.
Rossi: Alcune officine hanno già convenzioni con la grande distribuzione: la GDO vende il pezzo e l’operatore che opera nelle vicinanze del centro commerciale lo monta.
Cancelli: Credo che la grande distribuzione non abbia né le competenze necessarie per vendere ricambi, né l’interesse.
Corona: Anche se possibile, lo ritengo improbabile. Non sempre ciò che avviene in altri Paesi è possibile anche in Italia. La GDO dovrebbe avere all’interno un autoriparatore in quanto il “fai da te” è sempre meno ipotizzabile sulle nuove vetture, controllate da decine di centraline. L’automobilista italiano ha ancora radicato il concetto del “meccanico di fiducia”.
Mazza: In Italia è difficile che accada qualcosa del genere: i comportamenti del consumatore sono troppo radicati. Negli ipermercati ho notato che si acquista molto nel reparto accessori auto. Ma per i ricambi più “impegnativi”, capita spesso di vedere i clienti che maneggiano dei dischi freno per 10 minuti e poi li rimettono sugli scaffali, anziché nel carrello.
Negrini: L’unica strategia possibile è una qualche forma di collaborazione con la GDO.
Scammacca: La questione GDO è simile a quella dei distributori di carburanti: entrambe le catene non hanno mai costituito un vero problema per i distributori indipendenti, perché le nuove tecnologie applicate richiedono manutenzioni sempre più specializzate. Detti canali, in ogni caso, possono diventare clienti dei distributori meglio organizzati.
Vicini: In Italia, per come è organizzata la distribuzione dei beni di consumo e per la conformazione geografica, difficilmente un fenomeno come quello francese potrà avere successo. Certamente è un rischio potenziale, ma ritengo che sia un processo abbastanza lungo e che l’Italiano sia poco predisposto mentalmente a questo tipo di offerta.
La GDO è già presente sul mercato di accessori, ricambi e manutenzione auto. Carrefour ha cominciato da tempo la commercializzazione di prodotti col proprio marchio, alcuni anche di segmento elevato. Riuscite a stimare, almeno in grandi linee, il danno che questo fenomeno sta provocando ai distributori indipendenti tradizionali in termini di percentuale di fatturato?
Amura: Il danno viene provocato nel momento in cui l’offerta, a parità di marchio, è economicamente più vantaggiosa. In ogni caso i ricambisti e gli autoriparatori indipendenti che operano localmente hanno dimostrato di saper trovare le giuste contromisure.
Baruffaldi: È un danno più di immagine che di sostanza, soprattutto per i prodotti a “brand forte” dove i consumatori e gli autoriparatori possono effettuare confronti di prezzo.
Bruni: Probabilmente si tratta di un danno. La GDO è, in realtà, un distributore indipendente, ossia un “collega”. Ha gli stessi diritti degli altri operatori del mercato. La presenza di questa struttura può contribuire a superare la carenza fondamentale del nostro settore, ossia l’assenza di un’organizzazione dell’offerta nei confronti del consumatore. Non dimentichiamo che siamo in un’epoca di consumi piatti: la presenza di un settore automotive all’interno di una grande catena commerciale facilita senz’altro questo tipo di consumo sottraendolo ad altri settori. Fa ricordare al consumatore di riservare qualche quota del suo reddito alla vettura.
Cancelli: Un prodotto tecnico venduto dalla GDO rischia di essere svilito dalla caratteristica del punto vendita. Mi piacerebbe sapere, da chi fornisce queste strutture, se non corrono questo rischio anche rispetto all’effettivo business.
Corona: La GDO non ha una quota importante del mercato, anche se si limita a poche famiglie di prodotto (batterie, tergi, filtri, olio). Sicuramente crescerà sia per l’aumento di punti vendita sia per l’attenzione che il consumatore destinerà a questo business. Che dovrebbe raddoppiarsi nei prossimi cinque anni.
Mazza: Per gli accessori abbastanza, per i ricambi poca cosa.
Negrini: Non abbiamo dati per una risposta precisa.
Scammacca: La GDO ha danneggiato solo gli accessoristi; mentre relativamente ai ricambi la moda del “fai da te” non sembra compatibile con le abitudini degli Italiani. Non essendo un accessorista, non sono in grado di valutare il danno causato al settore in termini di quota di fatturato.
Vicini: Se non ricordo male, il fatturato in Italia della GDO, per quanto concerne il ricambio, è intorno al 5%. Nella nostra regione (Liguria) forse è leggermente più basso.
L’accordo interbancario Basilea 2, in corso di attuazione, determinerà forti restrizioni al credito per le piccole imprese, compresi i commercianti tradizionali di ricambi auto (vedi Notiziario Motoristico settembre 2003, pag. 70, ndr). Queste maggiori difficoltà dei vostri clienti possono rafforzare la tendenza a minimizzare il livello delle scorte e addossare al fornitore gli oneri relativi, compresi quelli di una logistica di consegna sempre più sofisticata?
Amura: Le restrizioni derivanti dall’accordo daranno un’ulteriore spinta a quel processo di selezione di cui si parla ormai da anni, perché non credo che i fornitori e i grossisti saranno in grado di caricarsi di ulteriori oneri. Siamo già a livelli di consegna particolarmente sofisticati e impensabili fino a pochi anni fa. Gli operatori in difficoltà, ossia quelli che non disporranno di crediti in linea con le proprie necessità, avranno un’unica via d’uscita: ricapitalizzare la propria azienda.
Baruffaldi: Non credo sia possibile contrarre ulteriormente il livello delle scorte per quei ricambisti che non saranno in grado di ottenere, con l’applicazione da parte delle banche dei “rating” di Basilea 2, linee e costo del credito adeguati alle loro esigenze. La restrizione del credito per questi operatori è già attiva, a meno di fideiussioni personali a garanzia delle linee di credito accordate. Non dimentichiamoci che in attesa di Basilea 2 alcuni grossi istituti bancari hanno già introdotto i nuovi criteri di valutazione del rischio credito. Viceversa, gli operatori adeguatamente capitalizzati e in grado di gestire in maniera equilibrata e imprenditoriale la loro attività, stanno investendo in stock, logistica, informatica e servizi e stanno raccogliendo risultati positivi in un mercato in contrazione.
Il processo è trasversale alla filiera e di conseguenza non è possibile affermare che il grossista dovrà sopperire alle carenze degli altri, perché anche fra i grossisti esistono aziende squilibrate.
Bruni: Assolutamente sì. È ovvio che “chi non ha testa, ha gambe”, ma gli spazi di miglioramento della logistica sono ancora elevati su tutta la filiera del ricambio.
Cancelli: Se le regole di Basilea 2 fossero applicate rigidamente nel mercato italiano, comporterebbero automaticamente la chiusura di molte aziende. La normalizzazione, per esempio, delle condizioni di pagamento a 30 giorni sarebbe già un grosso risultato.
Corona: Molti non sanno cosa significhi Basilea 2 e l’iniziativa del vostro periodico è encomiabile. Ritengo, ma soprattutto spero, che gli istituti di credito abbiano iniziato ad applicare i concetti base di questo accordo in modo “soft”. L’applicazione repentina avrebbe effetti disastrosi. Ciò che noi distributori non potremo fare è concedere ulteriori dilazioni sui pagamenti. Quello che stiamo già facendo è migliorare la logistica, in quanto il nostro cliente non ha solo un problema di tipologia, ma anche di spazio nel proprio magazzino.
Mazza: Nel Nord Italia no. Generalmente un ricambista lavora coi propri soldi, ho notato scarso uso de fidi bancari. Semmai il problema potrebbe essere al nostro livello, ossia quello del distributore. In ogni caso: chi era destinato a chiudere, lo sarà allo stesso modo con o senza il Basilea 2.
Negrini: Per quanto riguarda la nostra regione, si tratta di una politica in atto da tempo che se da un lato ci penalizza nei costi, dall’altra tende a favorirci nel futuro in quanto saremo tra i pochi a poter sostenere tali oneri.
Scammacca: Indipendentemente dall’accordo interbancario di Basilea, la restrizione del credito alle piccole imprese è un problema concreto che merita di essere approfondito. Il calo dei consumi ha determinato un’inevitabile ed eccessiva offerta nei confronti dei ricambisti. L’esasperata conflittualità ha fatto abbassare i prezzi, diluendo i tempi dei pagamenti che si sono trasformati in autofinanziamenti. Per questa gravissima situazione, che coinvolge un po’ tutta la filiera di distribuzione, occorre una soluzione per ristabilire puntualità e affidabilità nei pagamenti.
Vicini: Con questo accordo le banche dovranno classificare i propri clienti in base alla loro rischiosità, attraverso procedure di rating sempre più sofisticate. Il timore è che l’applicazione dell’accordo possa tradursi in minor credito alle imprese più rischiose, con tassi più elevati. Nel nostro settore il rischio è presente per la consuetudine di esser coinvolti negli aspetti economico-finanziari delle piccole aziende a scapito dei principi di economicità ed efficienza che l’impresa dovrebbe perseguire.
In nemmeno 10 anni i consorzi fra concessionari per la distribuzione del ricambio originale ai riparatori indipendenti sono arrivati a fatturare qualcosa come 125 milioni di euro. Ritenete che il fenomeno possa danneggiarvi e, se sì, quali potrebbero essere le vostre strategie di risposta?
Amura: Sicuramente questo fenomeno non ci ha agevolati, però è anche vero che ha contribuito a farci acquisire maggiore consapevolezza dell’identità del nostro vero competitor. Una strategia adeguata che ci consenta di competere con organizzazioni così poderose non può prescindere dal tentativo di coinvolgere tutti gli anelli della filiera distributiva. Occorrono progettualità, rispetto dei ruoli assegnati e capacità di investimento.
Baruffaldi: I consorzi fra concessionari hanno solo anticipato il processo di espansione che ci aspettiamo dalle reti ufficiali, che sempre di più sono interessate a fornire il mercato con i ricambi per tutte le auto e non solo per il proprio brand.
Bruni: Sul fatturato totale del settore è ancora ben poca cosa. È una delle tante iniziative possibili, auspicabile per il miglioramento delle economie di settore.
Cancelli: Il fenomeno dei consorzi di ricambi fra concessionari è la risposta anticipata alla legge Monti: possono fornire le officine di tutti i ricambi, anche non marchiati dalla casa auto. Ecco uno dei motivi della nascita di Giadi Group.
Corona: In Sicilia non sono presenti, né credo siano in gestazione...
Mazza: Non credo che il fenomeno ci possa danneggiare in modo particolare. Salvo il fatto che, in un mercato che sta calando, ogni nuovo attore porta via agli altri qualcosa di più rispetto a un mercato in crescita.
Negrini: La principale strategia di risposta consiste nel consorziare ricambisti indipendenti che in tal modo possano rappresentare un’adeguata forza economica in contrapposizione ai concessionari.
Scammacca: La normativa Monti impone la riorganizzazione del legame tra vendita di auto e assistenza. Tutto ciò, in pratica, comporta una separazione dei nuovi contratti, per cui un concessionario “tradizionale” nel nuovo schema sarà un operatore con la qualifica sia di “distributore auto” sia di “riparatore autorizzato”. Questo duplice impegno potrebbe costringere alcuni distributori a non aderire al consorzio per evitare di alimentare i riparatori indipendenti, che a livello locale potrebbero diventare potenziali concorrenti. Detto consorzio, circoscritto alle sole regioni del Nord, potrebbe tuttavia essere contrastato con una migliore organizzazione dei distributori indipendenti.
Vicini: Sicuramente è un fenomeno non positivo per noi. Spero che gli indipendenti comprendano che così facendo agevolano i loro competitor.
Aumenterà la quota di mercato del ricambio originale, o le cose rimarranno come sono?
Amura: Salirà.
Baruffaldi: Aumenterà.
Bruni: Almeno nel breve periodo (prossimi due o tre anni), aumenterà.
Cancelli: La tendenza è che la quota del marchiato della Casa aumenti.
Corona: Al momento dovrebbe rimanere costante.
Mazza: Aumenterà.
Negrini: Al momento il ricambio originale raggiunge non meno del 40%...
Scammacca: La quota di mercato dei ricambi originali potrà variare in funzione della capacità o meno dei distributori indipendenti di abituare i riparatori autorizzati dalle Case al consumo dei ricambi di qualità “equivalente”.
Vicini: Potrebbe aumentare se non sappiamo reagire alla possibilità di aumentare la nostra penetrazione, in termini sia di capitale umano/servizio sia di prodotto, nei confronti delle case automobilistiche.
Con l’allungamento del periodo di garanzia, la maggiore durata dei ricambi, la percezione del bene auto come qualcosa di sempre più tecnologicamente complicato, le officine dei concessionari attrezzate in modo sempre più specifico, perché il consumatore dovrebbe “rischiare” rivolgendosi a un indipendente e con ricambi non originali? C’è il rischio concreto che chi acquista un’auto nuova decida di “integrarsi verticalmente” col costruttore, a totale discapito del riparatore generico. Non bisognerebbe dunque impegnarsi un po’ di più sul fronte della comunicazione all’automobilista, per evitare che le officine “bandierate” si allarghino troppo? E chi dovrebbe sostenere gli eventuali costi per far capire all’automobilista che il ricambio “equivalente” può essere un’ottima alternativa all’originale: produttori, distributori, associazioni consortili o di categoria?
Amura: Il progetto Point Service è nato anche con questa finalità. In questi primi tre anni abbiamo lavorato alacremente per creare i presupposti in termini di contenuti, adesioni, notorietà e formazione dell’intera rete. È fondamentale garantire un livello prestazionale medio a livello nazionale, in linea con quello delle reti ufficiali. A tal proposito, a breve disporremo anche della garanzia sulla manodopera, unica nel nostro settore, che rappresenta un esclusivo valore aggiunto della nostra rete e una reale tutela dell’investimento operato dai consumatori. A partire dal prossimo anno, invece, punteremo molto sulla visibilità e sulla comunicazione rivolta all’automobilista, utilizzando i mezzi appropriati. L’investimento sarà considerevole e lo sosterremo, come consuetudine, con il prezioso supporto dei nostri fornitori partner.
Baruffaldi: È talmente vero che in futuro l’automobilista si affiderà a “officine bandierate”, che la nostra società ha aderito prima al consorzio i.di.a e poi al progetto di network Point Service. La missione di Point Service è quella di aggregare tutti gli operatori della filiera del settore (produttori compresi) in modo da accrescere la capacità complessiva del sistema, nell’offerta di un servizio competitivo e qualificato all’automobilista. Inserendo nella rete indipendente la stessa visibilità in immagine e la stessa preparazione professionale delle reti ufficiali, i plus naturali dei “meccanici di fiducia” e la prossimità territoriale di una rete molto capillare possono rappresentare un motivo di preferenza per l’automobilista. In merito ai costi necessari alla comunicazione e alla crescita professionale, nel caso di Point Service la relativa suddivisione è effettuata fra tutti gli operatori, produttori partner compresi.
Bruni: Il pericolo di “integrazione verticale” è effettivamente molto forte. Noi siamo molto impegnanti sul fronte dell’informazione commerciale, sia a livello di singola azienda che di consorzio i.di.a. L’importante è non far gestire la comunicazione a chi possiede un animo esclusivamente tecnologico. L’esperienza insegna che gli effetti sono deleteri.
Cancelli: Tutte le aziende coinvolte nel mercato indipendente (produttori, distributori o riparatori) devono fare la loro parte. Per farlo al meglio bisogna avere dimensioni che possano sopportare gli investimenti necessari. Per questo motivo Giadi, con il progetto officine G. Service, investe 200.000 euro all’anno mettendo a disposizione servizi rivolti all’officina quali corsi di formazione tecnici (diagnostica) e corsi tecnici forniti dalle aziende partner di Giadi. Inoltre coinvolgiamo nel nostro progetto il ricambista (Giadi Store), fornendogli informazioni e servizi necessari a dare delle risposte immediate all’officina, divenendo di fatto il trait d’union tra il distributore e l’officina stessa.
Corona: Ognuno deve fare la sua parte, ed è uno degli obiettivi che Giadi e i suoi soci distributori si sono dati.
Mazza: Nella nostra zona si sceglie tra officina indipendente o convenzionata per un motivo diverso da quelli esposti nella domanda: la comodità. Non andiamo dal meccanico indipendente per risparmiare. Andiamo dal meccanico sotto casa, perché è sotto casa. Forse in altre aree del Paese non si ragiona così, ma dal mio modesto osservatorio mi sembra che, sebbene molto lentamente, il resto d’Italia si stia “emilianizzando”.
Negrini: L’insieme delle categorie.
Scammacca: L’aumento dei tempi di garanzia e la maggiore affidabilità dei ricambi hanno già contribuito a penalizzare i volumi della distribuzione indipendente. L’alternativa offerta dalla Monti dovrebbe liberalizzare il mercato per meglio tutelare il consumatore. Bisogna, inoltre, tenere presente che la percentuale di auto che ogni anno escono dalla garanzia è superiore a quella delle vetture immatricolate. Appare pertanto evidente che il mercato dei ricambi di qualità “equivalente” sia destinato a svilupparsi. Diventa interesse di tutta la filiera indipendente dare la necessaria informazione ai riparatori autorizzati e ai consumatori finali.
Vicini: Dipende tutto dalla comunicazione e dalla forza di fornire informazioni chiare e semplici all’automobilista. È lui che deve essere reso consapevole che può trovare il ricambio di qualità equiparata all’originale a prezzi più economici e, allo stesso tempo, deve essere tranquillizzato sull’efficienza e la professionalità delle officine indipendenti anche riguardo alle vetture nuove. Chiaramente noi indipendenti non dobbiamo giocarci la fiducia dell’automobilista con atteggiamenti poco qualificati, come fornire ricambi di scarsa qualità o un servizio di installazione non all’altezza delle sue aspettative. Anche le associazioni consortili o di tutela del consumatore dovrebbero intervenire in questo processo informativo.