Rhiag entra a far parte di un gruppo internazionale e apre un punto vendita a marchio proprio. Cosa significa tutto ciò? Lo abbiamo chiesto direttamente a Luca Zacchetti, CEO del gruppo Rhiag.
Il nostro compito è quello di osservare il mercato e informare gli operatori del settore su quanto accade, permettendo loro di vedere e conoscere ciò che non sempre riescono a cogliere perché immersi nella loro realtà lavorativa. Il nostro compito, però, è anche quello di raccontare e interpretare ciò che accade, lasciando ai protagonisti l’opportunità di spiegare i fatti direttamente, in modo che almeno la propria posizione non possa essere interpretata da alcuno.Ciò non toglie che l’impatto provocato dalla notizia che il principale protagonista della distribuzione di ricambi in Italia abbia aperto un negozio diretto alle officine sia notevole e offra più di uno spunto di riflessione, al di là delle motivazioni che hanno portato a questo passo.
Ciò che è successo, infatti, è che Rhiag, in pochi giorni, ha dato due importanti notizie relative alle proprie strategie commerciali: l'ingresso in un gruppo internazionale come ATR International e l'apertura di un centro ricambi a marchio Rhiag.
Due operazioni diverse, ma altrettanto importanti, che di fatto cambiano il modo di porsi di Rhiag nei confronti del mercato per l’accordo ATR e che esplicitano una verità mai confessata nel mercato della distribuzione indipendente: che un distributore compri e gestisca direttamente un ricambista. Nessun intento nascosto di modificare la filiera distributiva, né di trascurare il mercato Italia, ci ha spiegato Luca
Zacchetti, CEO del gruppo Rhiag. Una conversazione che ci ha dato modo di fare il punto non solo sulle attività di questo importante gruppo distributivo, ma anche sul mercato in generale e sulle strategie che si possono attuare per superare questo momento di contrazione del mercato.
Rhiag entra in ATR: come è nato questo progetto e cosa significa per il gruppo?
Rhiag è da tempo già presente all'estero con le sue filiali, ma la necessità di entrare a far parte di un gruppo internazionale risponde a due requisiti: trovare una modalità di dialogo e collaborazione con alcuni competitor su alcuni paesi europei e rafforzare il legame con alcuni componentisti e fornitori, che sono poi quelli che hanno accordi particolari con il gruppo d'acquisto ATR International. Ci interessava soprattutto creare delle sinergie e smussare dei picchi di competitività in alcuni paesi del Centro Europa.
Entrare in ATR poi ci permette di ampliare la nostra politica multibranding e rispondere meglio al mercato, grazie alla possibilità di avere un accesso a più fornitori in maniera più diretta e agevole.
Multibranding significa quindi che abbandonate le politiche di esclusiva commerciale che hanno caratterizzato la vostra attività?
I tempi cambiano e credo che, di fatto, le esclusive contrattuali di una volta non abbiano più senso di esistere.
Oggi il mercato chiede competenza e qualità ed è nel lavoro quotidiano che si concretizza una sorta di esclusiva, non sulla carta. Quando si incontrano componentisti e fornitori che sono all'avanguardia per la qualità del prodotto e per la tecnologia che offrono, con distributori che nel loro campo sono all'avanguardia e investono nella logistica, nei servizi, nei sistemi informativi, ecco che, di fatto, si realizza una partnership vincente. Quando due giocatori forti si incontrano, io credo che sia nell'interesse di entrambi avere un rapporto il più forte e il più consolidato possibile, al di là di ciò che sta scritto nei contratti. Questa è la realtà dei fatti.
Parlando di ATR, pensa che questo accordo possa essere letto come il primo passo di una espansione di Rhiag in Europa o viceversa dell'ingresso di altri attori in Italia?
Ci tengo innanzitutto a precisare che diventare socio di ATR per Rhiag è una “semplice” operazione commerciale e non credo che vada a cambiare gli assetti del mercato internazionale, né tantomeno a promuovere l'ingresso in Rhiag di altri attori.
Vero è che il mercato europeo va meglio di quello italiano per ragioni oggettive e circostanziali: una minore pressione fiscale, un deficit pubblico meno gravoso, un aumento del costo dei carburanti più contenuto; tutti fattori che fanno la differenza. Altrettanto vero è che una delle vie di crescita per il nostro gruppo passa per l'internazionalizzazione e la diversificazione dei mercati.
Siamo però anche molto attenti e prudenti come gruppo e preferiamo valutare molto bene le situazioni prima di muoverci. La nostra politica è quella di consolidare la nostra posizione dove è necessario prima di espanderci in nuovi paesi. Perché il business della distribuzione sia profittevole deve essere un modello scalabile.
Ciò significa avere quote di mercato grandi ed espandersi progressivamente in prossimità del proprio epicentro logistico e distributivo; una volta che si è terminato questo lavoro si può fare il passo successivo. Ecco perché andremo a focalizzare i nostri interventi prima in quei paesi dove dobbiamo consolidarci e non puntiamo a un'espansione tout court.
E il mercato Italia? Rappresenta ancora un punto focale nella vostra strategia?
Per quanto oggi possa essere più problematico, il mercato italiano è sempre il nostro punto di riferimento principale. Certo, laddove la situazione è più difficile è necessario mettere in campo maggior creatività e professionalità. Questi sono tempi interessanti, che spingono ad aguzzare la fantasia e l'ingegno e a fare ancora meglio.
Possiamo dire che l'apertura di un centro ricambi a marchio Rhiag sia un esempio di “creatività” e sia destinato ad aprire una nuova frontiera per la filiera distributiva?
Io non la metterei in questi termini. L'apertura del nostro primo punto vendita diretto è sì una soluzione originale, ma nasce da un'esigenza specifica e non vuole essere il primo passo verso una nuova visione della filiera aftermarket. Mi spiego meglio. A Modena, dove apriamo il nostro centro, avevamo un ricambista molto importante, che per vari motivi, tra cui l'età avanzata di uno dei soci, ci ha comunicato la sua intenzione di chiudere l'attività. Questo per noi era un problema serio, perché la quota di mercato di quel particolare ricambista era difficile da salvaguardare. La soluzione più “semplice” e vantaggiosa ci è sembrata essere quella di subentrare direttamente e aprire il nostro punto vendita. Se il nostro cliente non avesse deciso di chiudere non avremmo fatto questo passo. È stata una sorta di “manovra difensiva”, un'operazione di tattica e non di strategia.
Dunque si può dire che Rhiag non cambia il suo ruolo di distributore e crede nella filiera tradizionale, cosa che, invece, altre realtà stanno mettendo in discussione perché la ritengono troppo lunga?
Rhiag ha una forte identità come distributore e non è nostra intenzione cambiare ruolo o intervenire sulla filiera. Crediamo che la realtà italiana vada affrontata così come è, perchè tanta frammentazione e tanti passaggi hanno le loro basi nell'alta “località” del nostro paese. Intendo dire che noi parliamo di mercato italiano, ma ogni provincia è un po' un mondo a sé e saltare un anello della filiera distributiva potrebbe compromettere il rapporto con il territorio e le peculiarità di ciascuna zona.
Come vede l'attuale situazione del mercato e il momento di crisi che stiamo vivendo?
Io non sono così pessimista. Fino a tutto il 2011 l'aftermarket italiano è andato bene e per quanto riguarda la flessione di questi ultimi mesi è troppo presto per fare delle previsioni e pensare che andrà sempre male. Certo, ci sono situazioni contingenti da non sottovalutare, ma per parlare davvero di crisi del settore bisogna prima capire quale livello di profondità e durata avrà questa crisi.
In tutto questo, però, il lavoro in officina sembra essere calato meno rispetto ai volumi dei ricambi mossi dai magazzini. Come lo spiega?
Per quanto ci riguarda, ciò è sicuramente vero. Premesso che non ci sono dati statistici e il fenomeno non è valutabile “scientificamente”, ma è solo la sensazione che si ha dialogando con clienti, fornitori, competitor e professionisti del settore. Penso che ciò che è successo in questi mesi sia soprattutto un effetto dello destoccaggio che si è avuto lungo la filiera distributiva a valle di Rhiag, per quanto ci riguarda. Più si destocca a valle più lo stock che c'è a monte assume valore e importanza per dare servizi.
È però altrettanto vero che anche il lavoro in officina è parzialmente calato. Assistiamo a una sorta di ritrosia dell'automobilista a far riparare l'auto con la stessa frequenza con cui lo faceva prima, almeno quando l'intervento è discrezionale. L'auto poi si usa meno oggi rispetto a un anno fa per diverse ragioni: caro benzina, disoccupazione, risparmi. In ogni caso, in questa prima parte dell'anno secondo me la causa principale è comunque il destoccaggio.
Un'ultima domanda: secondo Lei, a fronte di questa situazione, i costi della riparazione scenderanno? Le officine impareranno a fare promozioni per competere con le case auto e i fast fit? Rhiag ha una strategia a riguardo?
Credo che la domanda vada rivolta alle officine, perché sono loro che gestiscono direttamente il cliente finale. La filiera distributiva è troppo lunga perchè una realtà come Rhiag possa intervenire direttamente. Certo, noi supportiamo le officine con servizi e prodotti, ma poi sta a loro tradurre il tutto in vantaggi per l'automobilista.
Approfondimenti:
Il sito di Rhiag
Il sito di ATR
Accordo tra Rhiag Group e ATR International AG