Maria Luisa Cosso è una delle poche donne Cavaliere del Lavoro nel mondo dell’industria; e se marchi come Corteco o De Carbon non vi suonano familiari, è ora di ripassare la storia dell’automobile.
Sono servite tre telefonate per riuscire a parlare con la signora Cosso: una donna talmente impegnata che il solo mettersi in contatto con lei è già di per sé un’impresa. Ci aspettavamo una donna tanto decisa e determinata da sembrare fredda e distaccata, ma quando abbiamo incontrato Maria Luisa Cosso nella sede torinese di una delle “sue” aziende, ci siamo trovati di fronte a una persona affabile e disponibile, capace di esserlo nonostante la sua posizione.Signora Cosso, ha iniziato giovanissima e oggi è una delle poche persone ad avere una visuale così ampia dell’Aftermarket italiano, ma lei, come e perché ha iniziato?
Tutto è iniziato quando mio padre lasciò l’azienda della sua famiglia, che era nel settore tessile, per cimentarsi nel mondo automotive. All’epoca erano gli albori del mondo dell’auto e mio padre fu lungimirante; si associò con il signor Francesco Corte, che si occupava della parte commerciale, mentre mio padre curava quella tecnica. Sfruttando la conoscenza delle lingue, nella metà degli anni Venti, mio padre aprì quindi una società di distribuzione di componenti per auto costruiti all’estero (specialmente Germania, Austria e Francia), la Corte & Cosso. Già prima della seconda Guerra Mondiale, la società aveva sviluppato una rete di concessionari in tutta Italia. È stato però il conflitto a mutare profondamente la struttura aziendale: a causa delle difficoltà della circolazione delle merci durante la guerra, i contratti di licenza sono stati modificati in contratti di produzione, così due importanti società produttrici hanno affidato a Corte & Cosso la costruzione di ammortizzatori e anelli di tenuta (rispettivamente Houdaille e Freudenberg). Intanto erano stati acquisiti anche nuovi prodotti, come le pompe acqua e quelle benzina e marchi, tra i quali l’appena nato Weber, che Corte & Cosso distribuiva in Piemonte. Nel 1932 fu registrato il marchio Corteco. Nel ’54, l’aumento della domanda ha portato alla creazione di uno stabilimento a Pinerolo, ancora attivo; nel ’59 è nata la Corcos, unica società del gruppo Freudenberg ad avere una partnership paritetica.
È a questo punto che lei prese la guida dell’azienda?
Nel 1960, in un incidente d’auto, persero la vita sia mio padre sia mio fratello e io restai sola con Giuseppe Corte, il figlio del socio di mio padre. Io avevo ventun anni e non ero mai entrata in azienda. La mia inesperienza è stata forse una delle mie fortune: ho dovuto percorrere tutta la gavetta e so che devo molto agli operai che mi hanno aiutata. Il primo anno lo passai praticamente tutto in officina, a cercare di capire i processi, l’organizzazione e i problemi. Poi mi dedicai a comprendere l’amministrazione e gli aspetti commerciali, fino ad avere un quadro chiaro di tutto il sistema. Nel 1970 morì anche Giuseppe Corte e io, a trent’anni da poco compiuti, divenni l’unico amministratore della società.
Qual è uno dei risultati ottenuti come imprenditrice che le danno maggiore soddisfazione?
Forse la realizzazione degli ammortizzatori De Carbon. L’ingegner De Carbon deteneva il brevetto degli ammortizzatori oleopneumatici: oggi sono la regola, ma all’epoca furono una grande novità. Si dice che l’idea di un ammortizzatore monotubo con olio e gas gli sia venuta in mente osservando un vecchio cannone, che utilizzava questo sistema per smorzare il rinculo dell’arma. Sviluppammo il prodotto in casa e lo provammo anche sulle motociclette: i meno giovani si ricordano ancora i nostri ammortizzatori con serbatoio, ottimi per motocross.
Poi, sicuramente, c’è l’enorme soddisfazione di aver preso in mano due aziende, Corte & Cosso e Corcos, che avevano insieme 90 dipendenti, per arrivare oggi a un gruppo in cui lavorano più di 850 persone.
Una crescita veramente notevole. Secondo lei, oltre alla sua bravura, a cosa si deve un tale risultato?
La fortuna di Corcos è stata di avere un gruppo dirigenziale efficiente che per circa 30 anni è rimasto sempre lo stesso crescendo insieme all’azienda. Questo ha consentito la continuità nelle strategie e negli sviluppi e la trasmissione dell’esperienza a ogni nuovo dipendente. Personalmente, sono quarantacinque anni che mi occupo di quest’azienda e ho visto passare praticamente tre generazioni tra i dipendenti. Il rapporto umano nel lavoro è fondamentale, io credo che questa sia stata una delle differenze che ha caratterizzato l’operato delle nostre aziende.
Poi è stata nominata Cavaliere del Lavoro… una rarità per una donna: come è avvenuto?
Era il 1998. È stata veramente una sorpresa. Durante la consegna al Quirinale mi emozionai all’inverosimile, creando commozione anche nei miei colleghi. Mi sembrava impossibile. Un riconoscimento che ho dedicato soprattutto a mio padre, che mi ha insegnato a non perdermi mai d’animo, e alla mia famiglia, che ha sopportato senza traumi le mie frequenti assenze.
Veramente un po’ emozionato lo sono anche io; personalmente mi aspettavo una persona molto determinata, quasi fredda visti i suoi trascorsi…
Invece eccomi qui. Nonostante la carriera aziendale e la propensione per l’innovazione, sono rimasta una persona all’antica. La mia posizione non mi ha impedito di avere un marito, una figlia e una vita molto più normale di tante altre persone.
Oggi, dall’alto della sua posizione, come vede l’Aftermarket italiano?
Sta mutando, è giunto il momento che questo tipo di mercato si dia una grande scrollata. In Italia la struttura distributiva è atipica rispetto al resto d’Europa; noi abbiamo in generale un anello in più nella filiera distributiva. Mi spiego meglio, oggi le merci per arrivare all’officina devono passare attraverso distributori regionali e ricambisti: secondo il mio parere non c’è più spazio per tutti questi passaggi. Con ciò non intendo assolutamente dire che i ricambisti siano destinati a sparire, anzi, quello che cambierà, come già sta succedendo, sarà il loro ruolo: non è un caso che in Italia si stiano organizzando tante reti di distribuzione indipendenti e che stiano acquistando un ruolo sempre più importante. Queste reti si appoggiano sempre e comunque ai ricambisti, ma di fatto, avendo una loro organizzazione di formazione e di assistenza, arrivano direttamente all’officina.
In ogni caso credo che la forza del gruppo, in generale, sarà vincente e garantirà l’adeguamento dell’Italia agli standard europei.
Riguardo l’Europa, come hanno influito le decisioni della Comunità sulla vostra azienda?
La Commissione europea ha lavorato molto bene, ma è chiaro che i frutti della nuova normativa non saranno istantanei. Il commissario Monti ha dato chiarezza.
Noi vendiamo marchi di primo equipaggiamento, oppure di aziende che possono garantire qualità equivalenti all’originale. In questo modo, chi utilizza i nostri prodotti non ha problemi di garanzia e quant’altro. Come magazzino lavoriamo soprattutto sulla gamma, e oggi movimentiamo circa 60.000 codici. Cosso&C. è una realtà ben radicata sul territorio piemontese.
Cosa mi dice invece della parte produttiva?
Se guardo l’aspetto produttivo della Corcos Industriale, la regolamentazione comunitaria favorisce un miglior accesso all’Aftermarket indipendente e alle reti di distribuzione e di assistenza dei concessionari auto. In questo senso, le nostre aziende di produzione di Pinerolo e di Luserna, la nostra società commerciale di Verona e la Corteco, operano sul mercato in modo ampio e globale.