Articoli | 01 April 2015 | Autore: Paolo Longhi

Capire i catalizzatori

Sono componenti nascosti a cui nessuno dedica attenzione.
Vanno bene… finché vanno bene, ma poi, quando si accende la spia gialla che ne indica un malfunzionamento, sono guai.

Sono veramente grossi guai, sia sotto il profilo economico, sia sotto quello puramente logistico. La sostituzione di un catalizzatore non è nè immediata, nè economica. Ma c’è di peggio. Un cattivo utilizzo del mezzo può accorciare la vita di questi componenti, tanti cari all’ambiente e tanto sconosciuti all’automobilista medio. Possiamo aggiungere di più, però: se la causa della loro compromissione non è legata a un semplice invecchiamento, è bene capire cosa c’è che non va, perché altrimenti si può andare incontro a un nuovo intervento di sostituzione in tempi molto più brevi di quelli previsti in caso di progetto. Ecco allora, qui di seguito, qualche nota tecnica da tener sempre presente.

Il catalizzatore come elemento che si usura
Anche il convertitore catalitico, più volgarmente noto con il nome di catalizzatore, è soggetto a usura. I metalli preziosi che lo compongono, e che servono ad accelerare le reazioni chimiche atte a trasformare gli scarichi del motore in sostanze non inquinanti, reagiscono ai processi chimici cui sono chiamati e quindi con il tempo si esauriscono. 

I tempi che portano un catalizzatore a fine vita non sono brevi: si parla in generale di parecchi chilometri, anche 100.000 e oltre. Se però l’uso del veicolo o le sue condizioni di funzionamento sono fuori dai valori di progetto, il catalizzatore può danneggiarsi molto prima. 

I grandi nemici del catalizzatore
Le possibilità di danneggiarli però sono numerose e per poterle identificare può essere utile suddividere queste cause in alcuni grandi aree di interesse. Durante l’uso della vettura possiamo provocare danni al catalizzatore, per esempio, mediante urto contro ostacoli presenti sul percorso. 

Una seconda macro causa è legata invece a un funzionamento non corretto del motore che, per qualsiasi motivo, può portare allo sporcarsi dell’elemento catalizzante e quindi a una sua inibizione. 

Esiste una terza grande causa, spesso e volentieri sottovalutata anche da alcuni operatori del settore: le temperature di esercizio del propulsore e quindi del catalizzatore. Di fronte alle cause appena elencate, vediamo come è possibile prevenire i problemi ed evitare di andare incontro a spese non previste.

Salviamo i catalizzatori
Partiamo dalla temperatura di esercizio, perché è la voce che spesso viene sottovalutata. Si tenga conto che un catalizzatore moderno lavora a temperature prossime anche agli 800 °C. Molte volte, accade che, a causa di infiltrazioni di aria nei collettori di scarico, per una guarnizione non più a tenuta o per crepe sui collettori di scarico, la temperatura salga oltre livelli accettabili. La spiegazione è molto semplice: quando si introduce aria fresca allo scarico, si genera un apporto di ossigeno in eccesso che rende la miscela aria/benzina più magra con un immediato e conseguente innalzamento delle temperature di esercizio. C’è poi un secondo aspetto da tenere bene sotto controllo. I moderni motori a combustione interna utilizzano il sistema di ricircolo dei gas di scarico per abbattere le temperature in camera di combustione e quindi diminuire la produzione degli ossidi di azoto. Se l’EGR (Exhaust Gas Recirculation), ossia la valvola di ricircolo dei gas di scarico non funziona correttamente, la temperatura dei gas di scarico sale a livelli inaccettabili.

Ci si possono mettere anche gli operatori del settore, però, a creare danni ai catalizzatori. Non è infrequente osservare l’utilizzo di materiali a base di silicone per sigillare le filettature, per esempio, delle sonde lambda o per risolvere un problema di tenuta delle guarnizioni dei collettori di scarico stessi. Nel caso delle sonde lambda è molto più consigliato utilizzare i classici liquidi antibloccaggio presenti in commercio o, se è possibile reperirli, quelli consigliati dal costruttore. Tutti i componenti a base di silicone, quando bruciano, rilasciano particolari gas che manifestano un effetto tossico e inquinante nei confronti del catalizzatore. Quando questi gas prodotti si depositano sulla parte sensibile della sonda o sugli elementi attivi presenti sulla superficie del catalizzatore, è evidente che si hanno conseguenze disastrose. Nel caso della sonda lambda, poi, andremmo incontro a letture sbagliate e quindi a una gestione da parte del controllo motore, totalmente errata. Nei casi più comuni che abbiamo rilevato, la sonda si trova a leggere una miscela molto più magra di quella effettiva. L’immediata correzione da parte del controllo elettronico motore è un apporto superiore di combustibile con una variazione del rapporto stechiometrico.

Passiamo quindi ai motori maltrattati, quelli per esempio che non vengono scaldati durante i primi momenti di funzionamento a freddo. Questi motori vanno incontro ad un’usura precoce di tutti gli elementi interni dotati di moto relativo. Pensiamo a stantuffi, valvole e relative sedi, fasce elastiche e molto altro. In questo caso, il lubrificante passa in camera di combustione, viene bruciato e quindi buttato allo scarico e passa quindi per il catalizzatore. Se il problema viene trascurato, non ci vorrà molto prima che il catalizzatore della vostra vettura venga completamente sommerso di residui carboniosi dovuti a questa anomalia.

Infine, possiamo aggiungere tutta un’altra serie di motivi subdoli che, oltre a generare problemi ben visibili, portano a un danno irreversibile del catalizzatore. Se alcuni elementi del sistema di accensione, come le candele con i relativi cavi o le bobine non funzionano correttamente, la combustione anomala ci riporta al caso precedente. Ci sono poi anche i casi di iniettori che, invece che nebulizzare il combustibile, lo buttano in camera parzialmente liquido. Dovete pensare che ogni volta che la combustione del motore avviene in maniera anomala, i residui della fase attiva finiscono allo scarico e poco dopo all’interno del catalizzatore.

Un altro tipico problema, anche questo abbastanza diffuso, è imputabile alla guarnizione della testata. Qualora questa non assicurasse più la tenuta, il liquido refrigerante che trafila all’interno del motore potrebbe, attraverso la camera di combustione, finire in parte allo scarico e quindi al catalizzatore.

Tutti i casi che fin qui abbiamo analizzato, portano, nella migliore delle ipotesi, all’impossibilità di passare la revisione e nella peggiore all’accensione della spia motore.

Infine, e con questo concludiamo, avevamo parlato di danni meccanici da urto. Bene, se per esempio affrontate un terreno accidentato o entrate in una delle “simpatiche” buche che si trovano sulle strade che percorriamo tutti i giorni e picchiate il guscio esterno del catalizzatore, il suo strato interno, ricoperto dai metalli nobili che agiscono attivamente nel processo di catalizzazione, può fratturarsi, con ovvie conseguenze. Peggio ancora, lo spostamento delle parti interne al catalizzatore potrebbe ridurre di una percentuale sensibile la sezione di flusso. In quest’ultimo caso il motore avrà problemi a scarica i gas esausti. Sappiate che una contropressione eccessiva allo scarico può danneggiare anche altri componenti.

Perché il catalizzatore?
I motori a combustione interna producono allo scarico, come effetto della combustione, alcune sostanze nocive. Dal punto di vista strettamente teorico, essendo i combustibili degli idrocarburi, una reazione di combustione completa darebbe luogo a vapore acqueo e anidride carbonica. Quello che succede in camera di combustione, però, si allontana parzialmente dalla teoria e il risultato è che dallo scarico di un’auto fuoriescono sostanze tossiche come gli ossidi di azoto, il monossido di carbonio, gli idrocarburi incombusti, il particolato e anche alcuni composti con piombo. 

Esistono diversi metodi per ridurre le emissioni allo scarico, ma i catalizzatori trivalenti sono tra i più utilizzati. Un tipico catalizzatore è composto da un supporto in ceramica o in metallo e da uno strato portante, formato da migliaia di celle, sul quale vengono depositati per vaporizzazione gli elementi che catalizzano quelle reazioni necessarie a trasformare le sostanze nocive in elementi non tossici. Questi elementi, che poi determinano gran parte dell’elevato costo di un catalizzatore, sono: platino, rodio e palladio (si parla di qualche grammo). Le reazioni, che qui non tratteremo nel dettaglio, prevedono la scomposizione degli ossidi di azoto in azoto e ossigeno, del monossido di carbonio in anidride carbonica (con consumo di ossigeno) e gli idrocarburi incombusti (HC) in anidride carbonica (CO2) e acqua (H2O), anche in questo caso con consumo di ossigeno.

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