Esploriamo l’importanza di altri due componenti nascosti sotto il cofano
delle nostre auto. Grazie a loro, ogni giorno, possiamo ripartire e rifornire di energia elettrica tutte le utenze di bordo.
Ormai è un’azione che facciamo senza più neanche pensare al problema: saliamo in auto, infiliamo la chiave nel blocchetto di accensione, avviamo il motore e partiamo. E dato che siamo abituati ormai molto bene, prendiamo il cavo USB e attacchiamo lo smartphone al sistema di infotainment del veicolo per ascoltare le playlist che abbiamo salvato sul nostro telefono. Poi, ci siamo anche dimenticati di caricare il tablet e allora, con l’apposito cavo inserito nella presa dell’accendisigari, mettiamo in carica il secondo dispositivo, così quando arriviamo a destinazione tutti i nostri sistemi mobile sono pronti per accompagnarci nella giornata. Peccato che per fare tutto questo, e molto altro ancora, serve energia elettrica, energia che ci viene fornita dalla batteria che, a sua volta, deve essere opportunamente ricaricata. Tutto questo per dire che alla base di molte azioni che svolgiamo ogni giorno, ci sono due elementi fondamentali dell’impianto elettrico di un veicolo: il motorino di avviamento e l’alternatore. Vediamo di conoscerli meglio.
Introduzione agli alternatori
Una volta c’era le dinamo e la corrente generata era continua. Oggi, le necessità energetiche sono aumentate enormemente e gli alternatori ci hanno permesso di passare dai modesti 200 W delle dinamo, agli oltre 1.500 W di questi ultimi. Se non ci credete, provate a pensare quanti e quali sono i dispositivi all’interno della nostra auto che assorbono energia elettrica: ventilatori, motorini dei sistemi di climatizzazione, specchietti retrovisori riscaldati, radio, CD, Bluetooth, finestrini elettrici, chiusure centralizzate, riscaldamento e raffreddamento dei sedili, lunotto termico e si potrebbe andare avanti per molto. Ora, gli alternatori trifase consentono di erogare, come anticipato, potenze anche di 1.500 W che con una tensione di 14 V significa un’intensità di corrente di quasi 110 A. Questa grande quantità di energia elettrica viene prodotta dall’alternatore, a scapito di un maggiore consumo di combustibile (perché come noto l’energia non si crea, ma si può solo trasformare, così come ci insegna la termodinamica), per due ragioni: fornire energia elettrica alle utenze e ricaricare la batteria.
Come è fatto un alternatore
Un tipico alternatore si compone, in linea di massima, di quattro parti fondamentali: lo statore con i tre avvolgimenti (ricordiamoci che genera corrente trifase), i diodi di potenza, quelli di eccitazione e il rotore con collettori e spazzole. L’interno di un alternatore è abbastanza complesso e per comprenderne fino in fondo le caratteristiche tecniche servono buone basi di ingegneria elettrotecnica. Limitiamoci, invece, al suo funzionamento, che poi è quello che serve conoscere per capire potenziali malfunzionamenti. Alla base di tutto, c’è il principio di induzione, per cui quando un conduttore elettrico viene messo in rotazione all’interno di un campo magnetico si genera una tensione all’interno dello stesso conduttore. Ovviamente, siccome ciò che conta è il movimento relativo tra campo magnetico e avvolgimento, è possibile fare anche il contrario, ossia far ruotare il campo magnetico e tenere fermo l’avvolgimento. Quest’ultima è la scelta costruttiva su cui si basa pressoché la maggior parte degli alternatori per autoveicoli. Siccome la corrente è trifase, abbiamo sia dei valori positivi, sia dei valori negativi. Si devono quindi prevedere i sei diodi (tre negativi e tre positivi) per raddrizzare la corrente.
Le caratteristiche di un alternatore
Concludiamo la parte relativa agli alternatori, cercando di sintetizzarne le caratteristiche salienti. Sicuramente, l’alternatore ideale deve essere il più piccolo possibile, pesare poco, ma allo stesso tempo fornire elevati valori di potenza. Inoltre, deve fornire una buone dose di ricarica della batteria già ai regimi più bassi. Si tratta di un elemento per cui non è prevista la manutenzione, oppure se prevista deve essere minima. Per il resto, è possibile scegliere le soluzioni più idonee a quel tipo di motore, come per esempio il senso di rotazione che è vincolato solo dalla ventola solidale con l’albero dell’alternatore stesso e che deve provvedere al suo raffreddamento. La presenza dei diodi positivi, poi, se qualcuno avesse questo dubbio, impedisce che il flusso di corrente vada dalla batteria verso l’alternatore.
Introduzione al motorino di avviamento
Un tempo c’era la manovella, oggi per fortuna basta girare la chiave e il motore si avvia. Il motorino di avviamento deve vincere alcune resistenze, tra cui l’inerzia degli organi del manovellismo, gli attriti e la pressione all’interno dei cilindri. Inoltre, una volta che il motore si è avviato, sarà necessario rimuovere l’accoppiamento tra la ruota dentata del motorino di avviamento e i denti del volano. Vediamo allora come vengono realizzati i motorini di avviamento.
Come è fatto un motorino di avviamento
Gli elementi che compongono un motorino di avviamento sono tre: il motore elettrico vero e proprio, il pignone con la ruota libera per il disinnesco (immediatamente dopo l’avviamento) e un elettromagnete.
Anche in questo caso, non entriamo nei dettagli costruttivi del dispositivo, perché esulerebbe dagli intenti di queste pagine. Unica nota che vale tener presente è il rapporto di ingranaggio, che per le applicazioni automobilistiche può variare tra i 10:1 e i 15:1. In pratica, il pignone del motorino di avviamento è più piccolo del volano, molto più piccolo, tale per cui il rapporto tra i giri del motorino e quelli del volano sono compresi tra i valori indicati sopra. Vediamo, quindi, come funziona.
Il motorino di avviamento in azione
Una volta girata la chiave nel blocchetto di accensione, inizia il processo di avviamento che prevede l’ingranamento del pignone sulla corona del volano. Tutto ciò è possibile grazie a una leva di innesto che spinge il pignone verso il volano. Il tutto può funzionare correttamente grazie alla ruota libera, il vero uovo di Colombo dell’intero sistema di avviamento. Una volta che il motore si avvia, infatti, il suo regime di rotazione diventa in brevissimo tempo superiore, e non di poco, rispetto alle possibilità di rotazione del motorino di avviamento. Se il pignone rimanesse ingranato e solidale all’albero del motorino, l’indotto del motorino verrebbe distrutto dalla frequenza di rotazione troppo elevata. Ecco che interviene la ruota libera. Quest’ultima si compone di alcuni elementi chiave: un anello con delle rampe, dei rulli che scivolano sulle rampe e delle molle che contengono lo spostamento dei rulli. Quando il pignone sta trascinando il motore, i rulli sono appoggiati alla parte terminale delle rampe. Quando il motore si avvia, è la corona del volano che trascina il pignone e quindi i rulli vengono spinti verso la parte alta delle rampe e si ha il disinnesco. A questo punto, il conducente deve essere veloce a rilasciare la chiave nel blocchetto, in modo tale da consentire il ritorno in sede del pignone. Quando la chiave viene tenuta in posizione di avvio per un tempo eccessivo, si sente subito un rumore simile a uno sfarfallio. È il classico timbro del pignone che viene trascinato dalla corona del volano a velocità molto elevata, ma grazie alla ruota folle non trasmette coppia all’albero dell’indotto.
Conclusioni
Sia gli alternatori, sia i motorini di avviamento sono elementi solo apparentemente semplici, ma, come si vede, appena si entra nel dettaglio le cose si complicano parecchio. Ciò che dovrebbe sorprendere è la spinta tecnologica a cui è andato incontro questo genere di sistemi e come oggi possano essere considerati delle vere e proprie commodity, ossia prodotti primari che diamo per scontati, ma che svolgono compiti tutt’altro che elementari.