L’indagine annuale sulla filiera automotive in Italia riporta risultati ancora positivi per il 2023, ma un generale pessimismo sulle previsioni 2024, tanto che c’è chi pensa anche di diversificare l’attività cambiando settore.
Per quanto riguarda il settore aftermarket le prospettive sono ancora buone, ma l’indagine rivela un forte pessimismo della filiera per il futuro.
“Seppure i dati del 2023 siano ancora positivi, l’indagine descrive una filiera pessimista, preoccupata per l’instabilità del quadro economico e per l’incertezza sui volumi produttivi e fortemente condizionata dalle strategie delle case produttrici- spiega il Presidente della Camera di commercio di Torino Dario Gallina. –
Sebbene la maggioranza delle imprese realizzi prodotti destinati a qualunque tipo di veicolo, indipendentemente dall’alimentazione, la temuta scadenza europea impone un cambiamento del modello di business al 34% delle imprese, tra mantenimento della produzione per paesi extra-UE, virata verso l’elettrico o addirittura uscita dal settore auto.
In questo contesto di incertezza, stabili gli investimenti in R&S, leggero calo delle imprese esportatrici e dei piani di sviluppo di nuovi powertrain, diffusa l’adozione di azioni in ambito ESG”.
Per Marco Stella, Presidente del Gruppo Componenti ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica): “La crisi della domanda di autoveicoli in Europa e in Italia, l’aumento dei costi di produzione e il rallentamento degli investimenti in nuove tecnologie della mobilità stanno creando le premesse per un possibile peggioramento di scenario riguardo all’impatto della transizione industriale sull’occupazione.
Secondo un recente studio di CLEPA, l’associazione europea della componentistica automotive, dal 2020 ad oggi le perdite nette di posti di lavoro nel settore in Europa hanno superato i livelli dell’era Covid-19 […]. La componentistica è sotto pressione anche in Italia, dove l’impatto del perdurante calo dei volumi di veicoli prodotti rende urgente attuare misure di politica industriale per la competitività delle imprese”.
La componentistica OE in Italia è pessimista, regge l’aftermarket
L’Osservatorio sulla componentistica automotive italiana e sui servizi per la mobilità ha identificato un universo di 2.135 imprese con sede legale in Italia, un settore che impiega circa 170.000 addetti e ha generato nel 2023 un fatturato stimato, ad esso direttamente attribuibile, pari a 58,8 miliardi di euro.All’insieme dei produttori di parti e componenti e degli integratori di sistemi e fornitori di moduli che, con gli Engineering & Design, rappresentano sistematicamente il nucleo consolidato della ricerca, sono state evidenziate, nel tempo, anche alcune specializzazioni, come il motorsport, l’aftermarket e, negli ultimi anni, la mobilità elettrica e l’infomobilità.
Nel 2023 la dinamica del fatturato delle imprese della componentistica automotive è apparsa positiva, seppur attenuata rispetto al recente passato, si è però ridotta la quota di imprese che ha registrato nell’anno un aumento del fatturato, passata, in Italia, dal 72% al 52%.
Sebbene i numeri registrate nel 2023 mostrino ancora per alcuni indicatori una leggera crescita e per altri una sostanziale stabilità, il comparto rivela un certo pessimismo nel guardare al futuro. In particolare, le attese sfavorevoli riguardano tutte le categorie di operatori, tranne il cluster degli specialisti dell’aftermarket.
Lo studio riporta infatti che il mercato dei ricambi automotive ha registrato nel 2023 una variazione finale complessiva del fatturato pari al +11,6% rispetto all’anno precedente. Trattasi della terza variazione annuale positiva consecutiva, dovuta a performance significative avvenute in particolare nel primo e nel terzo trimestre dell’anno e che hanno riguardato soprattutto i prodotti undercar (28,3%) e i componenti motori (13,9%).
Rispetto alla passata indagine dell’Osservatorio, cresce lievemente la quota degli operatori nel mercato aftermarket (il 67% delle imprese della componentistica, a fronte del 65% della precedente rilevazione), nonché quella delle imprese che realizzano dal mercato dei ricambi oltre la metà dei ricavi (il 27% contro il 25%); analogamente, incrementa anche la parte di fatturato medio derivante dal settore dei ricambi, pari al 29% del totale (il 27% nel 2022).
Il 92% degli specialisti aftermarket deve a questo segmento almeno la metà del proprio fatturato; al contrario, solo un’impresa su tre, tra gli E&D, può definirsi operativa nel mercato dei ricambi, con quote di fatturato ridotte.
Il comunicato stampa riassuntivo recita: “Il contesto è di preoccupazione per l’indebolimento dell’industria europea del settore e per la riduzione della domanda, acuito dalle tensioni geopolitiche internazionali, ma anche dalla necessità di stare al passo con quanto imposto dalla transizione tecnologica ed energetica.
Interrogate sulle previsioni per l’anno in corso le imprese si sono espresse con una visione marcatamente pessimistica.
Il 2024 viene atteso, infatti, come anno di arretramento per tutti i vari indicatori economici, a partire dal fatturato che vede appena il 23% degli operatori dichiarare una crescita e il 55% una diminuzione, con un saldo del -32%.
La maggiore debolezza viene avvertita soprattutto per gli ordinativi interni (previsioni di contrazione per il 57% delle imprese e saldo tra attese di aumento e riduzione del -40%), ma anche sui mercati esteri (riduzione degli ordinativi esteri per il 50% degli operatori e saldo del -30%)”.
Trend e cambiamenti: c’è anche chi cambia settore
In una visione di medio-lungo termine, le imprese sono state interrogate sulle strategie che verranno poste in atto in vista della scadenza europea del 2035, che prevede lo stop delle vendite di automobili nuove con motore endotermico.Il 66% delle imprese non prevede di effettuare cambiamenti, o in quanto i prodotti realizzati non sono interessati dalla nuova normativa (il 51%) o perché l’impresa è già orientata alla produzione di componenti o servizi per veicoli ad alimentazione elettrica o fuel cell (il 15%).
Il 34% delle imprese prevede invece mutamenti del modello di business che si concretizzano prevalentemente nel mantenimento di una quota parte di componentistica per motorizzazioni a combustione interna per clienti extra Ue (il 21% del totale dei rispondenti), e/o nell’intenzione di modificare propri prodotti o servizi, orientandoli all’elettrico o idrogeno (il 15%).
L’opzione di possibile uscita dal settore automotive, per aprirsi ad altri settori, coinvolge invece il 12% dei componentisti, ed è individuata come unica scelta possibile dal 6%.
La filiera si mostra significativamente orientata verso la componentistica di prodotti e/o servizi destinati a ogni tipo di veicolo (l’84,0%) indipendentemente dall’alimentazione.
Il 30,1% invece è orientato verso la produzione di componenti che caratterizzano i motori a combustione interna.
Inizia, tuttavia, ad essere rilevante il numero di componentisti specializzati in parti per veicolo elettrico e infrastrutture di ricarica (il 16,4%), così come si possono identificare quelli attivi nella produzione di hardware/software per i veicoli connessi e autonomi (il 6,6%) e, in generale, nei servizi per la mobilità (il 2,7%), nonché quelli che presidiano i sistemi di alimentazione a fuel cell (il 5,5%).
Sui sistemi ad alimentazione a GPL/metano operano invece il 6,8% delle imprese.
Per quanto riguarda l’opzione export, invece, l’indagine rivela un leggero calo delle imprese che dichiarano di vendere i propri prodotti sui mercati esteri: risultano il 79,4% a fronte del 80,7% della scorsa edizione; si stabilizza la quota di fatturato automotive riconducibile a tali vendite pari al 46,2%.
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