Il nuovo traguardo, fissato dallo scorso 1 gennaio, impone alla filiera dell'autodemolizione, di riciclare almeno il 95% del peso del veicolo da rottamare.
Più nel dettaglio, questo valore percentuale va diviso in due parti: l’85%, infatti, va utilizzato come nuovi impieghi e riciclo vero e proprio, mentre il restante 10% dev’essere utilizzato come recupero di energia. Per l’Italia, ha recentemente indicato a Il Fatto Quotidiano Anselmo Calò, presidente UNIRE (Unione Imprese del recupero, che fa parte di Confindustria), “Non dovrebbero esserci problemi a recuperare ancora meglio metallo, plastica, vetro, batterie e liquidi”: il riferimento va alla precedente normativa UE che prevedeva il raggiungimento dell’80% almeno; in questo caso, l’Italia superava le prescrizioni. “Tuttavia siamo indietro sul recupero energetico – prosegue Calò -, perché non riuscivamo nemmeno a soddisfare le norma precedente che stabiliva una quota del 5 per cento”.
La questione, in questo caso, è riferita alle attività di autodemolizione, che unicamente dalla vendita dei materiali riciclabili ottengono fonti di guadagno. Siccome, a parte le spese di cancellazione del veicolo dal PRA, la rottamazione non costa nulla al proprietario di un veicolo, i demolitori sono incentivati alla vendita di materiali riciclabili. E però il discorso è diverso se ci si riferisce al recupero energentico, che come indica il sito Web rinnovabili.it risulta “boicottato” dai termovalorizzatori: l’eliminazione, bruciandolo, del “fluff” (le parti volatili che si ottengono dopo la macinazione) non conviene, perché risulta antieconomico separare i più piccoli pezzi di plastica e tappezzeria; per questo, i gestori degli impianti di incenerimento sono disincentivati dal trattamento di questi rifiuti.