Sarebbe bello riuscire a prevedere con largo anticipo tutti i frutti derivanti dagli investimenti fatti in azienda e non solo; la cosa sicura è che se non si fanno investimenti, con il tempo la propria impresa è destinata a rimanere marginale rispetto al business che va sempre avanti.
È così anche per le grandi opere che un Paese deve fare per crescere, per rimanere agganciato ai benefici che portano la facilità di mobilità e di spostamento delle persone sia all’interno del territorio sia verso le altre nazioni. Stabilire a priori, sperando di poter contare con precisione assoluta i centesimi dei benefici, non penso sia credibile poterlo fare, a meno che non si imbarchi in Commissione “costi benefici” esperti dalla portata minima della famigerata Wanna Marchi e figlia. Eppure oggi stiamo aspettando il risultato di questo conteggio, che un gruppo di esperti dovrebbe presentare al Ministro dei Trasporti, per sapere se l’Italia avrà o meno la TAV che attraverserà le Alpi. Basterebbe il buon senso per capire che è un’opera irrinunciabile; basterebbe guardare il beneficio che tale infrastruttura ha portato in termini di mobilità fra le assi Milano-Roma e Torino-Venezia per farsene una convinta e positiva ragione, ma sembra non bastare.
Così si ragiona in termini costi/benefici senza visione strategica, senza esperienza, senza volontà di capire veramente. Decidere con logica elettorale, laddove i costi/benefici sono visti solo dal punto di vista dei voti che potranno portare o far perdere, prendere così certe decisioni politiche anche in materie vitali, come le infrastrutture per un Paese che si vuole definire industriale, è molto pericoloso e contraddittorio. Come quando si chiede lavoro, ma si avvelena l’industria, come succede per esempio con i blocchi del traffico che Torino ha fermato anche per i possessori di autovetture Euro 6. Tali provvedimenti, definiti anti inquinamento, si dimostrano del tutto inutili in termini di abbassamento delle polveri sottili, considerando che le automobili contribuiscono per meno del 10% all’inquinamento complessivo; ma anche su questo tema vale il ragionamento precedente, costi/benefici elettorali.
Ignorare l’impatto economico che tali provvedimenti hanno sulla economia reale della filiera della manutenzione e riparazione delle auto, così come su quella della produzione di veicoli nuovi è quantomeno imbarazzante per chi li attua. Il metodo dell’improvvisazione e ignoranza va avanti, penalizzando con ecotasse i veicoli con motorizzazioni tradizionali e di tecnologia europea, a favore di quelli a trazione elettrica con tecnologia e produzione cinese, dimostrando una visione di strategia industriale strepitosa, promuovendo il lavoro in Asia e non a casa propria, consegnando poi tutto il settore della produzione ad un know-how straniero.
Lasciare almeno il tempo agli industriali del settore di convertirsi a questa nuova tecnologia sarebbe il minimo da attendersi, ma non è così. Si capisce bene che, andando avanti con questo metodo, il reddito di cittadinanza non sarà solo un provvedimento temporaneo sino al reperimento dell’occupazione, ma l’unica opzione in un Paese dove la politica è concentrata esclusivamente all’impatto elettorale delle proprie decisioni. Non penso riuscirò mai a farmene una ragione.