Le forze disgregative che hanno caratterizzato il 2018 e che si sono diffuse su più di un network di distribuzione sembrano aver perso la loro energia, in modo particolare a fine febbraio all’ombra del Vesuvio.
Nella città del vulcano e di tante altre bellezze, in due occasioni separate, sono state annunciate nuove e inedite alleanze e il riavvio di una recente esperienza aggregativa che rischiava di schiantarsi in un’aula di tribunale.
L’esasperato individualismo italiano sembrerebbe aver deposto le armi, almeno per un po’, a favore di iniziative il cui successo si vedrà solo con il tempo e grazie alla capacità dei suoi protagonisti di trovare delle ragioni forti di aggregazione, che vadano, almeno in un prossimo futuro, oltre alla mera ricerca delle fee nazionali o internazionali che siano. Non bisogna avere pudore nel riconoscere che sino ad oggi l’aggregazione è stata largamente condivisa da molti ed eccellenti operatori del settore principalmente per motivi economici; sono pochi, infatti, coloro i quali possono vantare di aver costruito, sulle risorse messe a disposizione dai componentisti, il valore promesso sulla carta.
Non credo che una percentuale aggiuntiva su un fatturato reso fragile dalle dinamiche vorticose del business del post-vendita, accelerato dalle moderne tecnologie “on board” delle vetture di nuova generazione e dalle politiche anti-inquinamento europee e locali, possano mettere al sicuro alcuna struttura distributiva, a prescindere dalla grandezza propria o da quella della aggregazione di cui fa parte. L’aumento della competizione su tutto il territorio nazionale ha comportato una perdita di marginalità a tutti i livelli della distribuzione; la sottrazione di una vendita al competitor all’ultimo prezzo erode visibilmente alle aziende la capacità, e anche solo la possibilità, di supportare la riparazione nell’affrontare gli incombenti cambiamenti necessari per rimanere sul mercato. Senza più riparatori indipendenti poco potranno fare le fee, a prescindere da dove esse arrivino.