Non è certamente una novità per il settore, ma l’introduzione da parte della distribuzione, in entrambi i livelli, di un marchio privato per inscatolare i ricambi dei fornitori sembra vivere una nuova primavera.
Le concentrazioni avvenute a livello della distribuzione e le aggregazioni a livello dei ricambisti hanno creato i volumi necessari per rendere approcciabile questa attività, diventata evidentemente sempre più strategica in un mercato fatto da sovrapposizioni di marchi e da interazione con gli e-commerce B2B.
Così si ricreano le condizioni che il mercato ancora rimpiange, quella dei marchi in esclusiva (il proprio) tanto caro nei ricordi degli operatori. Certamente non un’ottima notizia per i produttori dei componenti, che possono così essere sostituiti in quasi qualsiasi momento da parte della distribuzione.
Da una parte il valore del marchio, quello fatto dalla fornitura in primo equipaggiamento e da anni di investimenti sulla qualità e sull’affidabilità, dall’altra la necessità di vendere un prodotto “good enough” proprio, che possa garantire redditività e controllo nella distribuzione.
In un mercato con una elevata anzianità media dei veicoli, l’esigenza di riparare in economia, trovando il miglior compromesso fra qualità e prezzo, ha sicuramente una propria dignità di ragionamento (ne è un esempio eloquente quanto è successo con ricambi come gli ammortizzatori e le turbine); diverso è invece l’approccio con i veicoli di ultima generazione, con valore e prestazioni decisamente più elevati.
I Private Label sono certamente una ulteriore sfida per gli attori del mercato, non potendo sbagliare alcuna delle mosse da farsi sia come fornitori, sia come distributori dei prodotti, ma il dado è tratto.
Se il meccanico non saprà più quale prodotto troverà prima di aprire la scatola del ricambio ordinato, bisogna che chi decide quale inserire abbia la capacità, e non solo negoziale, di scegliere la corretta qualità dello stesso; se il prodotto creerà dei problemi questa volta la faccia sarà di chi l’ha venduto.