Abbiamo visto nella cronaca di questi giorni quanti investimenti siano previsti per la “transizione ecologica”: fondi destinati al rilancio economico del nostro paese anche attraverso lo sviluppo di tecnologie che permettano una mobilità efficiente e integrata delle persone; dall’idrogeno allo sfruttamento di energia rinnovabile per una mobilità a impatto zero.

Capiamo perfettamente le esigenze industriali di trasformazione del mercato a trazione tradizionale con quello sicuramente più innovativo proposto da veicoli a trazione elettrica, così come capiamo che tutto questo porterà enormi trasformazioni delle infrastrutture per il trasporto dell’energia e per la sua produzione, nonché per il suo stoccaggio. Si viaggerà a trazione elettrica, ma pochi sanno prevedere quando questo avverrà; lo stesso Premier parla di un orizzonte temporale di 20-30 anni per concludere il ciclo degli investimenti, sempre che poi bastino i soldi per concluderli tutti. Comunque sia si tratta di tanto tempo, questo è chiaro.

L’immatricolazione di vetture ibride o “plug-in” sta cambiando in maniera impercettibile il circolante italiano, poiché le soluzioni sino ad oggi proposte dai costruttori sono poco competitive sia in termini prestazionali sia economici, lasciando questa scelta a una fascia di consumatori che hanno sicuramente un reddito superiore alla media e con la possibilità di avere più di una vettura a disposizione con alimentazione differenziata. La concentrazione nelle grandi città di queste nuove autovetture suggerisce agli operatori, che gravitano in questi luoghi, di adattare la loro off erta riparativa anche a queste tecnologie, pur lasciando alla maggior parte di essi la tranquillità per farlo senza affanno.

La rincorsa ecologica è necessaria più per ragioni economiche che ecologiche, porterà delle esigenze di differenziazione di off erta con una controllabile progressione, una selezione necessaria in un mercato ancora troppo frammentato.