La crisi che attraversa i produttori europei di autovetture è causata dallo sbandamento strategico dei principali produttori, che anziché contrastare la trasformazione presunta green del circolante adottando il veicolo elettrico, non si sono battuti a sufficienza per la neutralità tecnologica.
Il dito puntato soprattutto sul gruppo Volkswagen, che dopo aver attraversato il Dieselgate non indenne, si è sbilanciato e non poco con l’industria cinese della produzione di batterie al litio per convertire la propria produzione endotermica in elettrica; oggi paga più di altri lo scetticismo dei consumatori su questo tipo di veicoli, ed è costretta ad annunciare la chiusura di due fra i maggiori stabilimenti di produzione in Germania, con un annunciato esubero di circa 15.000 dipendenti.
Alla crisi di produzione di veicoli nel Vecchio Continente si contrappone l’importazione massiccia di autovetture dal mercato cinese, che produce più del proprio fabbisogno interno, e raccoglie l’interesse di numerosi operatori della distribuzione di autoveicoli in Europa, costretti a fare i conti con una ridotta fatturazione e con la politica di vendita diretta via web dei costruttori locali.
Così nasce anche la “produzione locale”, cioè per meglio dire “l’assemblaggio locale” di vetture, che permette a causa di regole ancora troppo poco stringenti in materia, l’opportunità di fregiarsi del titolo “Made in Italy” anche se nulla viene effettivamente prodotto in Italia.
Il caso emblematico è quello di DR, che a giugno è stata condannata a pagare una multa di 6 milioni all’Antitrust, poiché la produzione locale non corrispondeva in alcun dato di fatto.
Casi simili, anche se meno evidenti, ma sempre significativi, sono la bandiera italiana sulla Topolino elettrica del Gruppo Stellantis, prodotta interamente in Marocco, ma di nome e di “bandierina” sembra tutta italiana; così come l’Alfa Romeo con nome Milano ma non italiana.
Se fosse vero che anche l’automotive ha adottato gli stessi manager che hanno inventato il Parmesano e che quindi, pur di prendere i bonus da contratto, non si vada troppo per il sottile, bisogna ricordare loro che le autovetture non si possono vendere come se fossero formaggio, ma hanno bisogno di manutenzione, di ricambi, di una rete di assistenza diffusa sul territorio che va formata ed aggiornata.
Bisognerebbe che i manager che sono spesso sulle copertine dei giornali e che intascano stipendi milionari pensassero alla azienda non solo per il risultato di oggi, ma considerassero anche le conseguenze che una continua richiesta di abbassamento di prezzo delle forniture porta inevitabilmente: una perdita della qualità dei componenti utilizzati, con inaffidabilità complessiva del mezzo e il danno alla reputazione del marchio. Un vero imprenditore non accetterebbe mai questo rischio per la propria azienda.