Le recenti notizie economiche legate al settore dei produttori di automobili sono tutt’altro che rassicuranti; stabilimenti produttivi con minaccia di chiusura, utili in forte decremento, prospettive industriali e di prodotto opache se non scure. Se sino a solo pochi mesi addietro la reddittività dei principali costruttori era ai massimi livelli di sempre, grazie ai listini del nuovo lievitati dal 30 al 50%, dopo solo poco tempo, esaurita la coda di ordinazioni non evase accumulate nel periodo di pandemia, la realtà ha presentato il conto.
Prezzi troppo alti per autovetture che hanno le identiche prestazioni dei modelli precedenti, tassi di interesse scoraggianti e incertezza tecnologica per il futuro, hanno fatto prendere tempo al consumatore, posticipando il più possibile il momento della sostituzione della propria autovettura.
La crisi della automobile non è quindi la crisi della riparazione, anzi; proprio per le ragioni sopradescritte, investire sul proprio veicolo per il mantenimento della sua efficienza una somma che sino a ieri era impensabile, oggi è tutt’altro che inusuale su di un circolante che pur avendo una vita media di 12 anni non è poi così diverso di quello europeo.
Accumunare quindi la crisi dell’automobile a quella del post-vendita è quindi del tutto sbagliato, almeno nel medio periodo (intendiamo per chiarezza nei prossimi 10 anni). La forza del mercato della riparazione, mantenuta e cresciuta negli anni, e in particolare quella indipendente, non basta per mettere al riparo però tutte le aziende coinvolte nel post-vendita automotive; perché questo? Il mancato assorbimento delle quantità di ricambi nel primo equipaggiamento ha sicuramente aumentato la voglia da parte delle aziende di componenti di aumentare la propria quota nell’IAM, le ovvie conseguenze sono un abbassamento della reddittività di tutto il mercato, con le potenziali conseguenze negative sulle strutture più deboli o meno organizzate.
Rimane sempre presente sul mercato italiano la volontà dei player internazionali di servire i riparatori direttamente; questa volontà comporta investimenti maggiori sulle aperture di negozi, alleggerendo possibilmente la struttura di distribuzione tipica dei tre step, per investire maggiormente sul modello a due.